Arriva la tessera del tifoso. Ma il tifoso
non appartiene a una categoria certificabile con un documento. Cambiare
il calcio senza capire lo spirito che anima chi riempie gli stadi appare
impresa titanica. Chi occupa le stanze dei bottoni dovrebbe decidersi a
chiarire, a se stesso, questo concetto.
Arrivata
al nastro di partenza la “tessera del tifoso”. E’ stata infatti
ufficialmente presentata “Cuore Rossonero”, ovvero quella lanciata dal
Milan di Galliani. Paradigma metropolitano della tipologia di un
documento che dovrebbe, secondo la fervida immaginazione
dell’Osservatorio, diventare forse obbligatorio per quanti hanno ancora
voglia di andarsi a vedere il calcio dal vivo. Si tratta di un documento
magnetico che consente, tramite un chip, l’identificazione del
possessore. Un aggeggio che potrebbe diventare indispensabile per
entrare in quelle inutili cattedrali del deserto nelle quali sono state
trasformate gli stadi italiani.
Viene da chiedersi se certe persone sappiano davvero cosa significhi essere tifosi. Tanto più quelle
che avrebbero l’onere (l’onore) di stabilire le linee guida del “nuovo
calcio” che si vuole imporre dalle loro algide stanze dei bottoni
scollegate dalla realtà quotidiana. E che dovrebbero, in primo luogo,
avere contezza della tipologia di utilizzatori del prodotto che
intendono così pervicacemente trasformare in qualcosa di amorfo che ne
snatura i connotati.
“Si
è tifosi della propria squadra perché si è tifosi della propria vita,
di se stessi, di quello che si è stati, di quello che si spera di
continuare a essere. E’ un segno, un segno che ognuno riceve una volta
per sempre, una sorta di investitura che ti accompagna per tutta la
vita, un simbolo forte che si radica dentro di te, insieme con la tua
innocenza, tra fantasia, sogno e gioco”, ha osservato con grande acume
il poeta Giovanni Raboni.
”Mi
innamorai del calcio come mi sarei poi innamorato delle donne:
improvvisamente, inesplicabilmente, acriticamente. Senza pensare al
dolore o allo sconvolgimento che avrebbe portato con sè” dichiara senza
mezzi termini Nick Hornby, scrittore inglese autore del libro cult Febbre a 90.
C’è un aforisma di Blaise Pascal, “il cuore ha le sue ragioni, ma la ragione non riesce a capirle”, che riassume
con efficace sintesi gli imperscrutabili motivi che spingono il tifoso
ad amare ciò che ad altri non parrebbe meritevole di esserlo. A legare
il proprio destino, indissolubilmente, con quello della propria squadra
del cuore.
“Nessuna
industria della televisione sembra che gli interessi dei tifosi, ma
senza l’urlo ed il movimento del pubblico il calcio sarebbe uno zero. E’
una storia di passione. Sarà sempre così. Senza la passione il football
è morto. Solo ventidue uomini grandi e grossi che corrono su un prato e
danno calci a una palla. Proprio una gran cagata. E’ la tifoseria che
lo fa diventare una cosa importante”, sostiene John King, icona del mondo ultras, nel suo Fedeli alla tribù.
Per
queste e per molte altre ragioni non può (non potrà) mai essere la
banale tessera che Galliani, con la sua faccia rassicurante, cerca di
promuovere a definire se un sostenitore milanista può essere definito
“Cuore Rossonero”. Una vera mistificazione, a dirla tutta.
Perché
essere tifoso vuol dire appartenere a una categoria dell’anima,
difficile da incasellare. E, dunque, dirigere una squadra di calcio
significa avere la consapevolezza di mettersi a capo di un’azienda
speciale che nulla ha da spartire con altre attività imprenditoriali.
Sergio Mutolo – www.calciopress.net
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