Ci sentiamo in dovere di rispondere ad alcuni articoli apparsi sui giornali odierni che sembrano voler cavalcare il clima di “caccia alle streghe” che spira in Italia sin dalla partenza di questo campionato.
Una premessa è d’obbligo, perché l’argomento è delicato e la strumentalizzazione “fa parte del gioco”, non del nostro, però, perché noi non abbiamo il timore di dire quello che è il pensiero nostro e, crediamo, della stragrande maggioranza dei tifosi italiani. Il razzismo è un problema che va affrontato con serietà e chiarezza: quella serietà e quella chiarezza che ci consentono di poter affermare che noi siamo convinti che il razzismo NON esista nel calcio, quantomeno in quello italiano.
Se il tifoso fosse razzista non accetterebbe nemmeno lo presenza di giocatori di diverse etnie nella propria squadra e sappiamo, invece, che ormai tutte le squadre (anche nei campionati minori) hanno giocatori stranieri. Se ci fosse razzismo tutti i giocatori non italiani o non bianchi, verrebbero egualmente insultati: brasiliani o giapponesi, africani o sudamericani… e questo non è mai accaduto.
Nel calcio, però, come in quasi tutti gli altri sport molto popolari, esistono da sempre gli “sfottò”, i fischi e – magari anche – gli insulti verso i giocatori (come verso i tifosi) avversari; soprattutto quanto uno di questi commette falli oppure se ha un atteggiamento non corretto (come è accaduto nello specifico caso del centravanti del Rimini).
Nel passato, giocatori come Gullit o Stankovic, non si sarebbero mai fermati per un insulto rivolto al colore della pelle o alla loro provenienza territoriale. Loro giocavano, correvano, segnavano (guadagnavano) e capivano che tutto il resto rientrava nella “logica” del tifo. Oggi, invece, pare esista l’ossessione di voler tutelare persone che sono comunque dei privilegiati, lautamente pagati per giocare in un rettangolo verde. Il risultato è di farne davvero dei “diversi”, perché – paradossalmente, si può fischiare o fare “buuu” a chiunque ma non a un giocatore di colore. Quando tocca la palla un giocatore di colore dovrebbe calare il silenzio sullo stadio? Non sarebbe – questo sì – razzismo? Noi, invece, pensiamo che sia possibile fischiare un africano, un asiatico o un sudamericano esattamente come si è sempre fischiato un avversario italiano. Anzi, pensiamo che questo sia il modo migliore per farlo sentire come gli altri, come sempre, come ovunque nel mondo! Il resto è ipocrisia da salotti bene, quelli che trattano da serva una filippina o sfruttano un lavoratore nero in fabbrica.
Domenica i più insultati dalla curva sono stati il portiere che, tuttavia, a fine partita ha preso anche gli applausi scusandosi per la sciarpa dietro la porta e l’italiano Osio, che ne ha sentite di tutti i colori ma ci ha riso su in conferenza stampa. Forse prendersi meno sul serio gioverebbe a questo sport dove, ormai, gli unici veri discriminati sono i tifosi: trattati come delinquenti, inquadrati come teppisti, soggetti a leggi speciali e schedature, costretti a rinunciare anche a striscioni, bandiere o fumogeni… Buoni solo a pagare il biglietto.
Ci spiace, infine, che anche il sindaco, invece di tutelare i suoi concittadini e l’immagine di Monza, sia ricorso alle solite frasi di condanna preconcetta, verso quelli che, evidentemente, per lui, non sono degni della città…. A questo punto, speriamo almeno che non ci faccia pagare le prossime addizionali comunali. O per quelle andiamo bene?
CURVA DAVIDE PIERI
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