Brescia. «Mi hanno rubato la vita e adesso voglio giustizia». Paolo
Scaroni, 32enne di Castenedolo, rovinato nel fisico e nell’animo dal
pestaggio subito il 24 settembre del 2005 alla stazione di Verona,
durante una carica della polizia dopo la partita dei locali con gli
azzurri del Brescia, non ci sta a farsi da parte. Non vuole mettersi in
un angolo e piangersi addosso per quello che poteva essere e non è
stato, non vuole rimuginare sulle occasioni che ha perduto, sul tempo,
la vitalità, la gioia e l’allegria che gli sono state rubate dentro a
quella maledetta stazione, e appena ha occasione fa sentire la sua voce.
Non lo frena nemmeno l’ecolalia che lo perseguita da quando ha lasciato
l’ospedale di Negrar nel Veronese, non gli impedisce di raccontare i
suoi due mesi di buio totale e la lenta, difficile e dolorosa ripresa
nemmeno l’afasia, che spesso gli impedisce di trovare le parole giuste.
Non ha paura di nulla perchè sa che la sua sofferenza deve trovare
giustizia, perchè ha pagato sulla sua pelle «il comportamento scorretto
di chi non ha onorato la divisa che indossa». E ieri mattina,
trascinando visibilmente la gamba destra e aggrappandosi con
meticolosità allo scorrimano, ha salito lentamente le scale che portano
in prefettura. In programma un incontro importante: Paolo Scaroni era
atteso dal prefetto Narcisa Livia Brassesco Pace. Scaroni non era solo
all’incontro. Con lui gli amici di tifoseria, i ragazzi della Curva Nord
Brescia 1911. Gli ultras della Nord sono stati vicini a Paolo ogni
istante. E gli sono vicini nella battaglia legale che finora non ha
portato alcun risultato, ma solo tanta amarezza. «CI SONO LE PROVE che
sono stato picchiato dalla polizia – spiega Paolo Scaroni -, da sette
poliziotti che hanno fatto di tutto per uccidermi. Quando sono stato
ricoverato a Verona non avevo nemmeno un livido sul corpo, ma mi hanno
colpito solo alla testa. Volevano farmi male, ma io sono sopravvissuto».
Paolo ringrazia ogni giorno per essere ancora vivo, ma la sua lucidità
l’ha portato decine e decine di volte anche a sperare di morire. Il
desiderio di farla finita si è insinuato spesso nella sua testa,
massacrata in stazione, segnata da profonde cicatrici, rese invisibili
dai capelli castano-rossiccio. Le cicatrici non si vedono più, ma per
Paolo sono presenti in ogni istante, quando anche i movimenti più
semplici diventano difficoltosi, quando il peso del forcone nella stalla
gli impedisce di continuare il lavoro, quando la testa rimbomba a tal
punto che anche seguire un film è un’impresa. Paolo Scaroni non è più
quello di prima. Non può riavere la sua vita, deve fare i conti con
quello che è diventato, ma qualcuno deve pagare per tutta la sua
sofferenza. E i responsabili secondo Paolo Scaroni, il suo avvocato
Sandro Mainardi e tutti gli amici della Curva Nord, hanno un volto, un
nome e un cognome, sono sette poliziotti che dovrebbero finire davanti a
un giudice. Ma la procura di Verona l’altro giorno, dopo l’iscrizione
d’autorità dei sette nel registro degli indagati, ha nuovamente chiesto
l’archiviazione. La prima richiesta di archiviazione è stata respinta,
così come il ricorso in Cassazione. Questo ha raccontato ieri Paolo al
prefetto di Brescia. Ha chiesto di aver giustizia perchè «prima ancora
di essere un tifoso è un cittadino bresciano». Il prefetto ha promesso
il suo interesse. È un primo passo per Paolo. Finora le sue richieste
sono rimaste senza risposta: ha scritto al ministro Maroni, ha scritto
al Papa. «Spero che qualcuno mi aiuti perchè mi è stata rubata la vita e
nessuno ha ancora pagato».
Fonte: Bresciaoggi
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