«Vi abbiamo aspettato un anno, oggi giochiamo noi». I gruppi della curva
sud lo avevano annunciato in settimana, tramite un breve comunicato.
Domenica pomeriggio lo hanno fatto. Due mini porte, dieci amici in
campo, con la folla degli altri tifosi a delimitare il campo di gioco. A
fare da cornice bandiere, stendardi e tanti cori contro squadra e
società. Così i militanti dei gruppi ultrà romanisti si sono affrontati
in un mini torneo di calcetto (cinque contro cinque) nel piazzale
antistante la curva sud, scegliendo di boicottare per protesta, la
partita vera e propria.
«Una protesta, civile, goliardica, ma al
tempo stesso inequivocabile – dicono gli ultrà, che preferiscono
rimanere anonimi – siamo stufi di questa dirigenza e dello scarso
impegno dei giocatori». Nel mirino delle critiche l’operato di Rosella
Sensi, giudicata colpevole, dopo l’incontro avvenuto in settimana a
Trigoria, di «avere scarso rispetto per i tifosi». Ma loro, gli ultrà,
non salvano nessuno. Sotto accusa anche rosa e tecnico: «La sconfitta di
Firenze è stata la fatidica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ora
basta».
Così mezz’ora prima che l’arbitro Damato fischiasse
l’inizio delle ostilità sul prato verde dell’Olimpico, nell’antistadio
già avevano iniziato da qualche minuto. Il torneo degli ultrà era
articolato in cinque match da 20 minuti ciascuno, ad eliminazione
diretta. Alla fine l’hanno spuntata i Fedayn, aggiudicandosi la finale
per 1-0, ai danni dei Boys, altro gruppo storico della sud.
Al
posto del prato l’asfalto ruvido, niente tacchetti né parastinchi, e
anche le maglie non sono quelle ufficiali griffate As Roma, ma t-shirt e
polo autoprodotte dai vari gruppi: Boys, Fedayn, Padroni di casa,
Ultras Roma Primavalle, Irish Clan, Giovinezza e altri. «Mancano solo
gli Ultras romani» dicono gli organizzatori della protesta, che seppur
senza dirlo apertamente, alludono alla posizione piuttosto filo
societaria degli ultimi («Il perché della loro assenza? Non lo
sappiamo»).
La partita nella partita dura circa un’ora e trenta, e
per larghi tratti attrae gli spettatori assai più che la partita vera e
propria. Nella sud, listata “a lutto” per mezzo di eloquenti striscioni
fissati sulle vetrate dei rispettivi gruppi («Vattene»), ci sono ampi
spazi vuoti. «La gente preferisce il calcio vero – dice Andrea, un
astante della partitella - rispetto a quei quattro mercenari senza
dignità».
All’astinenza da Roma si resiste 45 minuti. Quando Roma
e Chievo Verona fanno il loro ingresso in campo per il secondo tempo,
la sud è praticamente piena. Ma niente tifo, al posto dei cori di
sostegno, bordate di fischi, cui segue a più riprese, come un
tormentone, il grido arrabbiato «Rosella Sensi bla, bla, bla».
Ad
ogni tocco sbagliato dei giocatori in maglia giallorossa la curva
fischia. Sergio, 35 anni, più di 20 passati in curva, scuote la testa:
«Non è questo il modo – dice contrariato – Chi ha scelto di vedere
comunque la partita, dovrebbe rispettare la protesta dei gruppi e
restare in silenzio. L’indifferenza è la miglior cosa». Altri, come
Andrea, hanno scelto di prendere posto sugli spalti fin dal primo
minuto: «Preferisco le contestazioni vecchia maniera – dice,
aggiustandosi la visiera del berretto – tutti dentro lo stadio, con cori
e striscioni per gridare la nostra rabbia». Lui la scelta dei gruppi la
rispetta, pur senza condividerla: «Un’iniziativa goliardica, che però
rischia di passare inosservata».
Ma i gruppi ultrà a passare
inosservati non ci tengono proprio, così a pochi minuti dal fischio
finale, fanno il loro ingresso sugli spalti. La Roma in campo latitata,
la sud ribolle di rabbia, i gruppi danno voce al malcontento. La folla
si trasforma in muro di mani, i cori vengono scanditi da scrosci ritmati
«Noi non siamo sul libro paga», e ancora «Meglio di voi, giochiamo
meglio di voi», per chiudere con un provocatorio «ma la Roma dove sta».
Al 90° il fischio dell’arbitro viene seppellito dal mare dei fischi del
pubblico, la sud invita la Roma «sotto la curva», ma la squadra non
raccoglie.
La domenica amara del tifo romanista si conclude con
l’ennesimo «Sensi vattene» urlato a perdifiato, mentre sul viale del
Foro italico papà Roberto, 40 anni, da 30 abbonato alla Roma, cerca di
spiegare al piccolo Valerio, sette anni, oggi per la prima volta allo
stadio, che tifare la Roma significa anche e soprattutto delusioni come
questa: «Un giorno dirai – dice rivolto al figlio - la mia storia è
iniziata con Roma-Chievo 0-0». Lui annuisce, per nulla intristito:
«Tanto domenica prossima vinciamo».
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