A colloquio con Lorenzo Contucci, avvocato penalista, esperto della
normativa applicata al mondo degli ultras
Avvocato penalista, romano e romanista, Lorenzo Contucci è sicuramente
uno dei massimi esperti della normativa applicata alla questione ultras.
E grazie al suo lavoro quotidiano, può avere un punto di vista molto
chiaro sulle falle del sistema, su cosa andrebbe cambiato e su quello
che succede nelle curve italiane e nelle aule di tribunale. Proprio per
questo abbiamo
voluto intervistarlo, spaziando dalla situazione legislativa odierna,
alla farsa mediatica di Roma-Napoli o alle foto “taroccate” di
Bulgaria-Italia.
D. Qual è la situazione odierna della legislazione italiana contro il mondo ultras?
R. È una legislazione definita di prevenzione, ma che in realtà è di
repressione. Lo strumento utilizzato è il famoso D.a.spo. (Divieto di
accedere alle manifestazioni sportive, ovvero la “diffida” ndr) la cui
durata è oggi passata da uno a cinque anni. Nel 90% dei casi ha
l’obbligo
di presentazione alla P.G. L’anomalia è che viene applicato direttamente
dal Questore, mentre altre misure di prevenzione di una certa gravità
vengono proposte dal Questore e applicate da un giudice. Nel nostro caso
l’intervento del giudice – spesso sommario e senza garanzie difensive –
esiste solo per l’obbligo di presentazione, ma non per il divieto in sé
stesso. In Inghilterra non è così: la polizia propone, il giudice
decide. Senza contare che il D.as.po.
si basa il più delle volte su una semplice denuncia che altrettanto
spesso finisce in un’archiviazione o in un’assoluzione, naturalmente a
provvedimento scontato. Da vero e proprio stato di polizia, invece, è
quella parte della legge Amato che consente di diffidare anche senza che
vi sia una denuncia: il paradosso è che un soggetto denunciato può
sperare nella revoca del d.a.spo. – perché ad esempio viene poi assolto
nel procedimento penale – mentre un soggetto non denunciato, ma
diffidato non può fare proprio nulla perché non potrà mai ottenere
un’archiviazione o un’assoluzione.
D. A cosa ha portato la politica dei divieti e della disgregazione dei gruppi organizzati?
R. Ha portato alla pressoché totale perdita di colori negli stadi e una
conseguente perdita di fascino delle partite stesse. I giornali per
presentare il derby di Roma continuano a tirare fuori foto di archivio e
dimenticano che tutto quel colore che c’era è oggi reato. In più si
sono create delle frange anarchiche nel senso non politico del termine,
assai pericolose perché premeditano gli scontri.
D. Quando è iniziato il “pugno di ferro” in Italia contro le curve?
R. Poiché la polizia è il braccio operativo del ministero dell’Interno, e
quindi del governo, da quando lo Stato ha deciso che alcuni episodi di
violenza non potevano più essere tollerati, anche in quanto amplificati
dai media e recepiti in tal modo dall’opinione pubblica, con conseguenti
riflessi sui governi stessi. Dietro lo slogan del “riportiamo le
famiglie
allo stadio”, ampiamente fallito come possiamo vedere con i nostri stadi
vuoti, si è semplicemente favorito ulteriormente il mondo delle pay per
view, primo canale di introiti per le squadre di calcio, almeno in
serie A.
D. Che cos’è esattamente il D.as.po.? È un provvedimento anticostituzionale?
R. È l’ordine con il quale il questore vieta a un soggetto ritenuto
pericoloso di andare allo stadio, per un periodo che può andare da uno a
cinque anni. Ha quasi sempre abbinato l’obbligo di presentazione alla
P.G. per le partite, in casa e in trasferta, della squadra del cuore. La
Corte
Costituzionale è più volte intervenuta e il fatto che la legge venga
continuamente modificata sull’onda emotiva di fatti di cronaca non potrà
impedire che ci si torni di nuovo. Allo stato la Corte Costituzionale
ha offerto spunti interpretativi della legge dicendo come i giudici
dovevano interpretarla perché non fosse dichiarata incostituzionale. C’è
anche da dire che le prime pronunce sono del 1996, quando questi
provvedimenti erano annuali e quindi comprimevano in modo limitato la
libertà personale. Ora che sono quinquennali è auspicabile un nuovo
intervento della Corte, per garantire un diritto di difesa pieno.
D. Come ci si difende da un D.as.po.?
R. È assai difficile. Quando vi è l’obbligo di presentazione, si hanno
48 ore di tempo per difendersi davanti al giudice che lo deve
convalidare, ma non vi è una udienza. Si può depositare una memoria
difensiva. I tempi assai ristretti spesso vanificano tale possibilità ed
è quasi impossibile portare prove a discarico. Dopo la convalida da
parte del Gip, si hanno
solo 15 giorni di tempo per andare in Cassazione e solo con un avvocato
cassazionista. Contro il divieto di andare allo stadio, invece, si può
ricorrere al prefetto, cosa quasi sempre inutile perché gerarchicamente è
il superiore del questore, ovvero andare al T.a.r.. Il problema sono le
spese legali da sostenere e il fatto che – basandosi il D.as.po. su una
denuncia – per aspettare di avere ragione bisogna attendere che
parallelamente il procedimento penale faccia il suo corso, con i tempi
biblici che sappiamo.
D. Quali sono le strutture dello stato che dovrebbero controllare i tifosi?
Da chi sono composte? Sono efficaci?
R. Presso le questure vi sono le squadre tifoserie della D.i.g.o.s., che
ben conoscono le realtà del tifo organizzato. Di certo con la
disgregazione dei gruppi operata dall’operazione repressiva il loro
compito si è fatto più difficile per la mancanza di referenti. Poi
abbiamo l’osservatorio
nazionale sulle manifestazioni sportive, che ho sempre definito –
insieme con il Casm (Comitato di analisi per la sicurezza delle
manifestazioni sportive ndr) – organismi inutili e da stato di polizia
che contribuiscono a distruggere il tifoso da stadio e non solo i tifosi
violenti. Il criterio con cui operano è analogo al concetto del buttare
via il bambino con l’acqua sporca.
D. Esiste un modo per arrivare al dialogo tra i tifosi e lo stato?
R. La parola “tifosi” comprende più realtà. Per me il tifoso deve fare
il tifoso e lo Stato deve fare lo Stato. Essere tifoso non dovrebbe
essere una professione e quindi non ho necessità di dialogare con
nessuno: vado allo stadio e mi vedo la partita.
D. Le curve sono ancora oggi il più grande movimento giovanile?
R. In parte sì. Quando lo Stato se ne è reso conto ha deciso di ammaestrarle e chi non si fa ammaestrare viene soppresso.
D. Pensi che gli ultras facciano paura per la capacità ancora oggi di aggregare?
R. Assolutamente sì. Chi ci governa non ha capito – e se lo ha capito lo
ha fatto tardi – che le politiche attuate hanno radicalizzato alcune
frange.
D. Quanto ha influenzato il Legislatore l’onda emotiva della morte di Raciti?
R. Moltissimo. Ancorché quella situazione sia dipesa, anche – e
sottolineo anche – da una non corretta gestione dell’ordine pubblico (mi
riferisco alla decisione folle di far arrivare i tifosi del Palermo a
partita iniziata e non molto tempo prima), era assolutamente ovvio che
un fatto
così grave influenzasse il Legislatore. È anche giusto che sia così,
sebbene i veri correttivi da apportare non fossero certamente quelli poi
adottati populisticamente. In quella occasione per lo meno il fatto era
storicamente avvenuto e di assoluta gravità. Tuttavia il Legislatore si
muove spesso prescindendo da una reale emergenza, ma sulla mera
percezione di essa da parte
dell’opinione pubblica.
D. Ci puoi raccontare com’è stato montato ad arte dai media il caso Roma-Napoli?
R. Tutto è partito da una notizia falsa nata da un comunicato di
Trenitalia, recepito dai media nazionali – tv, quotidiani cartacei e on
line – come devastazione e sopruso. Televisivamente, sono state mostrate
– sapientemente tagliate e montate – fotografie di un paio di vetri
rotti
mostrati da tutte le angolazioni e i napoletani che correvano alla
stazione Termini sono stati presentati come facinorosi che creavano
disordini, sottacendo che stavano semplicemente correndo verso i pullman
perché era già finito il primo tempo. Basta andare su Youtube per
verificare come il loro comportamento sia stato senz’altro folkloristico
e agitato, ma certamente non violento. Eppure è passata la notizia di
stazioni e treni devastati. Per fortuna su quel treno c’erano due
giornalisti austriaci che, allibiti, hanno raccontato come nulla di
quello che era stato detto sui media fosse vero. Solo pochi giornalisti
illuminati – come nel caso del servizio d’inchiesta di Rai News 24 –
hanno dato notizia della bufala mediatica. Ovviamente dopo che il
giudice sportivo aveva chiuso entrambe le curva del San Paolo e che il
Ministro Maroni aveva proibito ai tifosi del Napoli tutte le trasferte,
proprio nell’occasione in cui – sono parole di un giudice – avevano
fatto tutto il possibile per evitare problemi. Una
disorganizzazione totale dell’evento è stata attribuita, con la solita
complicità dei media, ai tifosi per coprire le responsabilità di chi
gestisce l’ordine pubblico, con tanto di servizi segreti al suo interno.
In un Paese che ancora non ha fatto chiarezza su Ustica, Bologna e
tante
stragi impunite non mi stupisco più di nulla e sono sempre più motivato nel non votare più.
D. Cosa è successo veramente quel giorno a Roma?
R. Ho già risposto. Mi limito ad aggiungere che uno dei più seri
quotidiani italiani, il Corriere della Sera, per ben due volte ha
inserito delle fotografie con la didascalia “i tifosi del Napoli durante
gli scontri di Roma” riferite a episodi di diversi anni fa. Mi è
bastato navigare per
cinque minuti su internet per mostrare la falsità della
rappresentazione. Questo comportamento non è solo deontologicamente
scorretto. È ben di più, visto che influenza l’opinione pubblica e, di
conseguenza, il Legislatore.
D. Sappiamo che hai difeso alcuni ultras napoletani e che sei stato criticato da alcuni quotidiani. Cosa ne pensi?
R. Ho già detto cosa penso di alcuni giornalisti che lavorano per alcuni
quotidiani. Si spacciano per democratici quando uno stato totalitario
rappresenterebbe, per loro, il luogo naturale di espressione. Il tifoso
delinque lanciando un sasso o in molti altri modi, il giornalista
delinque
dicendo menzogne basate su fatti falsi. Questo, per il sottoscritto è un
comportamento criminale assai più grave del ragazzino che lancia un
sasso, se non altro perché i quotidiani sono sovvenzionati anche dallo
Stato: il ragazzino che lancia un sasso no.
D. E della questione
Bulgaria-Italia cosa ne pensi? Anche lì gli scontri e i famigerati
saluti romani sono stati una montatura. Erano tutti da parte bulgara….
R. Sono rimasto allibito. Non si tratta di essere di una idea politica o
di un’altra. Si tratta di distinguere il falso dal vero. La quasi
totalità dei giornali, approfittando dell’identità dei colori nazionali,
hanno spacciato i tifosi bulgari pieni di svastiche per quelli
italiani, che certo di
sinistra non erano ma che hanno tenuto comportamenti assai meno
esibizionistici. Poiché l’onda emotiva del momento è la questione
fascismo/antifascismo, il meccanismo tritatutto dell’informazione di
regime ha, in modo criminale, trattato la notizia. Mi ripeto: un giudice
delinque se si vende una sentenza, un avvocato se tradisce il proprio
cliente e un giornalista se dice falsità.
D. Esiste un’informazione libera e corretta in Italia?
R. Solo su internet e da parte di pochi giornalisti coraggiosi, per i
quali ho la massima stima. Purtroppo temo non faranno carriera, per lo
meno in Italia. Se i giornali sono il cane da guardia della democrazia –
come ha scritto la Corte di Cassazione – internet è il leone da guardia
della
democrazia stessa. È per questo che ci sono progetti di legge per limitarne la capacità di espressione.
di Tommaso Della Longa per il mensile “La Voce del Ribelle”
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