I dieci pullman carichi di tifosi bianconeri che hanno assistito alla
partita Atalanta-Juventus hanno lasciato lo stadio di Bergamo intorno
alle 18.30. Dopo i tafferugli che hanno preceduto la gara, anche al
termine ci sono stati attimi di tensione: intorno alle 17.30 circa 500
ultras nerazzurri, in attesa dei tifosi juventini (quelli arrivati in
auto e in treno sono stati fatti uscire a scaglioni dall'impianto,
mentre i pullman sono stati scortati dalla polizia fino a destinazione),
hanno lanciato alcuni petardi all'indirizzo delle forze dell'ordine.
Nel pomeriggio un tifoso atalantino, B.F., 30 anni di Bergamo, è stato
arrestato dopo la sassaiola contro la polizia avvenuta intorno alle 13
nei pressi della zona di 'prefiltraggio' dello stadio. Il giovane dovrà
rispondere di lesioni, resistenza e lancio di oggetti, come previsto
dalla normativa per la sicurezza negli stadi. Due agenti sono rimasti
contusi (prognosi di otto e dieci giorni), due mezzi delle forze
dell'ordine e cinque autobus sono stati danneggiati dal lancio di sassi
prima e dopo la partita.
www.repubblica.it
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23 dicembre 2008
COMUNICATO UFFICIALE GRADINATA NORD
RD Con le nuove leggi che vietano l'utilizzo di megafoni e
amplificazioni, è diventato molto difficile comunicare con la Gradinata.
Abbiamo deciso quindi di utilizzare questo comunicato per far capire alla gente
che negli ultimi tempi la NORD ha subito un declino, dal punto di vista del
tifo, enorme.
QUESTO PER NOI E' INACCETTABILE!!!
Chi viene nella NORD deve cantare 90 minuti e oltre, aldilà del risultato e
dell'avversario di turno.
Domenica sera, vi chiediamo di non iniziare a cantare 4 ore prima, aspettate
l'inizio della partita e UMILIAMOLI come al solito.
Invitiamo tutti a portare una bandiera rossoblu per poter colorare la Gradinata
nell' unico modo ormai consentito.
Ribadiamo nuovamente, qualora qualcuno non l'avesse capito, il nostro
dissenso al calcio moderno, rovina della vita da stadio.
A questo assurdo decreto non ci vogliamo piegare; per questo non abbiamo
chiesto nè chiederemo mai nessuna autorizzazione per esporre i nostri gloriosi
colori.
NE INTERESSI NE COMPROMESSI
GRADINATA NORD
amplificazioni, è diventato molto difficile comunicare con la Gradinata.
Abbiamo deciso quindi di utilizzare questo comunicato per far capire alla gente
che negli ultimi tempi la NORD ha subito un declino, dal punto di vista del
tifo, enorme.
QUESTO PER NOI E' INACCETTABILE!!!
Chi viene nella NORD deve cantare 90 minuti e oltre, aldilà del risultato e
dell'avversario di turno.
Domenica sera, vi chiediamo di non iniziare a cantare 4 ore prima, aspettate
l'inizio della partita e UMILIAMOLI come al solito.
Invitiamo tutti a portare una bandiera rossoblu per poter colorare la Gradinata
nell' unico modo ormai consentito.
Ribadiamo nuovamente, qualora qualcuno non l'avesse capito, il nostro
dissenso al calcio moderno, rovina della vita da stadio.
A questo assurdo decreto non ci vogliamo piegare; per questo non abbiamo
chiesto nè chiederemo mai nessuna autorizzazione per esporre i nostri gloriosi
colori.
NE INTERESSI NE COMPROMESSI
GRADINATA NORD
22 dicembre 2008
COMUNICATO CURVA SUD MILANO
In relazione ai fatti avvenuti in occasione di Juventus-Milan... Ci
sembra doveroso spiegare le motivazioni che ci hanno portato a
manifestare il nostro dissenso per quanto accaduto, con lentrata in
diretta durante la nota trasmissione controcampo di domenica sera, per
una pacifica e colorata manifestazione fatta esclusivamente con cori e
sciarpe di noi ragazzi appartenenti alla Curva Sud di Milano.
Premessa: in questa stagione la società A.C. Milan ha fatto obbligo (seguendo il dettame del decreto legge sulla sicurezza degli stadi)per i tifosi che intendono seguire le partite del Milan di procurarsi la così comunemente denominata carta del tifoso- strumento essenziale per poter esercitare il diritto non di prelazione ma semplicemente di acquisto.Tutti noi che seguiamo abitualmente il Milan ne siamo ovviamente forniti, purtroppo però a differenza di quanto si potrebbe credere questa carta NON tutela in nessuna maniera i tifosi che come Noi seguono costantemente il Milan sia in casa che in trasferta. La motivazione è semplice quanto assurda, la società che organizza levento sportivo e cioè la società di casa non è tenuta ad accordarsi con la società ospite sulla metodologia di assegnazione dei tagliandi per permettere ai tifosi ospiti di assistere alla partita.
Và da sé che non essendoci nessun tipo di regola generale ogni società ospitante sceglie il mezzo a lei più congegnale per la distribuzione dei biglietti alla tifoseria ospite, ci ritroviamo quindi di volta in volta a dover andare presso la Milan Point, in banca, in tabaccheria ecc Con evidenti disagi organizzativi per tutti quelli che come noi seguono il Milan. Il tutto poi è sempre vincolato al placet del questore della città ospitante e dai famosi signori che compongono losservatorio che, ben più di una volta, hanno manifestato palesi lacune sulla conoscenza e la metodologia da applicare per permettere lorganizzazione delle trasferte ai tifosi rei solamente di amare troppo la propria squadra, non volendosi piegare alla logica della poltrona davanti alla tv a pagamento.
In aggiunta per chi che come noi, ha una squadra seguita da milioni di tifosi se da una parte non può che farci piacere, dallaltra (per i milanesi stessi), è del tutto evidente la forte penalizzazione nel caso di un errata distribuzione dei tagliandi messa a disposizione dei tifosi ospiti, infatti andrebbe riservata almeno una quota di questi biglietti, agli Ultras o i gruppi di Milan club organizzati di Milano e provincia e specifichiamo per poi non essere volutamente fraintesi, Ultras e Milan club residenti a Milano e provincia con paritetici diritti e non quindi agli Ultras và riservata una quota a parte rispetto ai Milan club di Milano e provincia!
Spiegata sommariamente lassurda condizione in cui ci troviamo, la Società Juventus mette in vendita i tagliandi per i tifosi ospiti in maniera paritetica su tutto il territorio nazionale e solo un giorno prima! Và da sé che alla fine non Milano ma addirittura lintera Lombardia risulti essere tra le regioni che riuscirà ad acquisire meno tagliandi.
Nonostante questo decidiamo di organizzare la trasferta lo stesso, anche in virtù del fatto che, veniamo a conoscenza della possibilità di acquisire in loco i tagliandi per i ragazzi che non erano riusciti a procurarseli in tempo. Quindi non partiamo sprovvisti di biglietto sapendo di non poterli poi acquistare ma lesatto contrario. Arrivati alla barriera di Torino, nonostante avessimo ampiamente dimostrato agli agenti preposti al controllo dei tifosi che eravamo in grado di poter procedere al regolare acquisto del tagliando perché muniti sia del denaro necessario (ovviamente), che della tessera del tifoso, dopo più di 3 ore ci dicono che non sarebbe comunque stato per noi possibile procedere oltre e cioè verso lo stadio per un non precisato ordine imposto, giocato su uno scarica barile generale, tra questura di Torino, di Roma, lOsservatorio ecc Nessuno può vietare ad un cittadino italiano di percorrere il proprio territorio nazionale salvo gravi motivi che potrebbero far insorgere problemi di ordine pubblico. Però questa ordinanza non risultava emanata nè dal questore o nè dal Ministero degli interni. Nel tornare indietro noi ragazzi della Curva Sud abbiamo deciso di inscenare una protesta pacifica per lassurdo comportamento che ormai da troppo tempo stiamo subendo noi e tutte le tifoserie organizzate, veri e propri soprusi che ledono il principio fondamentale di ogni democrazia e cioè: la Libertà! Presentati di sorpresa durante la trasmissione, abbiamo per qualche secondo intonato un coro: Dove sono i nostri biglietti? Il conduttore e giornalista Alberto Brandi dopo averci redarguito dicendoci che non era questa la maniera di manifestare (perché non era ovviamente stata concordata), durante lo stacco pubblicitario mandato apposta per capire cosa stesse succedendo, constatata la nostra intenzione di chiedere una sensibilizzazione sul problema delle tifoserie organizzate, si è detto disponibile ad incontraci per riuscire a creare un momento di discussione e di approfondimento di questa tematica. Di questo ovviamente lo ringraziamo anche perché ha poi ribadito pubblicamente a trasmissione ripresa, che non vi è stata né nei toni né nei modi un comportamento minaccioso o violento. Attendiamo dal dott. Brandi quanto prima una convocazione per poter dare voce a milioni di tifosi che, come noi settimanalmente, vivono questa assurdità creata solo per poter disincentivare la parte sana del calcio che siamo noi tifosi. Vogliono disincentivare la frequentazione dello stadio, dei tifosi ospiti per obbligarli a vivere lo spettacolo in maniera passiva davanti alla televisione, tradendo quella passione che ci lega e ci fa vivere sempre al fianco della nostra squadra del cuore.
Voi ci volete seduti comodamente in poltrona, davanti ad una tv a pagamento, abbandonando la sua genuina origine di realtà sociale, aggregativa e popolare che è il fenomeno della tifoseria organizzata lunica ancora libera dai condizionamenti e base di spontanea aggregazione sociale specialmente giovanile.
Consentiteci di dire a questi Signori: NON CI AVRETE MAI COME VOLETE VOI!
Premessa: in questa stagione la società A.C. Milan ha fatto obbligo (seguendo il dettame del decreto legge sulla sicurezza degli stadi)per i tifosi che intendono seguire le partite del Milan di procurarsi la così comunemente denominata carta del tifoso- strumento essenziale per poter esercitare il diritto non di prelazione ma semplicemente di acquisto.Tutti noi che seguiamo abitualmente il Milan ne siamo ovviamente forniti, purtroppo però a differenza di quanto si potrebbe credere questa carta NON tutela in nessuna maniera i tifosi che come Noi seguono costantemente il Milan sia in casa che in trasferta. La motivazione è semplice quanto assurda, la società che organizza levento sportivo e cioè la società di casa non è tenuta ad accordarsi con la società ospite sulla metodologia di assegnazione dei tagliandi per permettere ai tifosi ospiti di assistere alla partita.
Và da sé che non essendoci nessun tipo di regola generale ogni società ospitante sceglie il mezzo a lei più congegnale per la distribuzione dei biglietti alla tifoseria ospite, ci ritroviamo quindi di volta in volta a dover andare presso la Milan Point, in banca, in tabaccheria ecc Con evidenti disagi organizzativi per tutti quelli che come noi seguono il Milan. Il tutto poi è sempre vincolato al placet del questore della città ospitante e dai famosi signori che compongono losservatorio che, ben più di una volta, hanno manifestato palesi lacune sulla conoscenza e la metodologia da applicare per permettere lorganizzazione delle trasferte ai tifosi rei solamente di amare troppo la propria squadra, non volendosi piegare alla logica della poltrona davanti alla tv a pagamento.
In aggiunta per chi che come noi, ha una squadra seguita da milioni di tifosi se da una parte non può che farci piacere, dallaltra (per i milanesi stessi), è del tutto evidente la forte penalizzazione nel caso di un errata distribuzione dei tagliandi messa a disposizione dei tifosi ospiti, infatti andrebbe riservata almeno una quota di questi biglietti, agli Ultras o i gruppi di Milan club organizzati di Milano e provincia e specifichiamo per poi non essere volutamente fraintesi, Ultras e Milan club residenti a Milano e provincia con paritetici diritti e non quindi agli Ultras và riservata una quota a parte rispetto ai Milan club di Milano e provincia!
Spiegata sommariamente lassurda condizione in cui ci troviamo, la Società Juventus mette in vendita i tagliandi per i tifosi ospiti in maniera paritetica su tutto il territorio nazionale e solo un giorno prima! Và da sé che alla fine non Milano ma addirittura lintera Lombardia risulti essere tra le regioni che riuscirà ad acquisire meno tagliandi.
Nonostante questo decidiamo di organizzare la trasferta lo stesso, anche in virtù del fatto che, veniamo a conoscenza della possibilità di acquisire in loco i tagliandi per i ragazzi che non erano riusciti a procurarseli in tempo. Quindi non partiamo sprovvisti di biglietto sapendo di non poterli poi acquistare ma lesatto contrario. Arrivati alla barriera di Torino, nonostante avessimo ampiamente dimostrato agli agenti preposti al controllo dei tifosi che eravamo in grado di poter procedere al regolare acquisto del tagliando perché muniti sia del denaro necessario (ovviamente), che della tessera del tifoso, dopo più di 3 ore ci dicono che non sarebbe comunque stato per noi possibile procedere oltre e cioè verso lo stadio per un non precisato ordine imposto, giocato su uno scarica barile generale, tra questura di Torino, di Roma, lOsservatorio ecc Nessuno può vietare ad un cittadino italiano di percorrere il proprio territorio nazionale salvo gravi motivi che potrebbero far insorgere problemi di ordine pubblico. Però questa ordinanza non risultava emanata nè dal questore o nè dal Ministero degli interni. Nel tornare indietro noi ragazzi della Curva Sud abbiamo deciso di inscenare una protesta pacifica per lassurdo comportamento che ormai da troppo tempo stiamo subendo noi e tutte le tifoserie organizzate, veri e propri soprusi che ledono il principio fondamentale di ogni democrazia e cioè: la Libertà! Presentati di sorpresa durante la trasmissione, abbiamo per qualche secondo intonato un coro: Dove sono i nostri biglietti? Il conduttore e giornalista Alberto Brandi dopo averci redarguito dicendoci che non era questa la maniera di manifestare (perché non era ovviamente stata concordata), durante lo stacco pubblicitario mandato apposta per capire cosa stesse succedendo, constatata la nostra intenzione di chiedere una sensibilizzazione sul problema delle tifoserie organizzate, si è detto disponibile ad incontraci per riuscire a creare un momento di discussione e di approfondimento di questa tematica. Di questo ovviamente lo ringraziamo anche perché ha poi ribadito pubblicamente a trasmissione ripresa, che non vi è stata né nei toni né nei modi un comportamento minaccioso o violento. Attendiamo dal dott. Brandi quanto prima una convocazione per poter dare voce a milioni di tifosi che, come noi settimanalmente, vivono questa assurdità creata solo per poter disincentivare la parte sana del calcio che siamo noi tifosi. Vogliono disincentivare la frequentazione dello stadio, dei tifosi ospiti per obbligarli a vivere lo spettacolo in maniera passiva davanti alla televisione, tradendo quella passione che ci lega e ci fa vivere sempre al fianco della nostra squadra del cuore.
Voi ci volete seduti comodamente in poltrona, davanti ad una tv a pagamento, abbandonando la sua genuina origine di realtà sociale, aggregativa e popolare che è il fenomeno della tifoseria organizzata lunica ancora libera dai condizionamenti e base di spontanea aggregazione sociale specialmente giovanile.
Consentiteci di dire a questi Signori: NON CI AVRETE MAI COME VOLETE VOI!
20 dicembre 2008
Assemblea Pubblica nella Sud dopo Doria - Fiorentina
Prima del match contro il Siviglia, la tifoseria organizzata, tramite
volantinaggio, ha comunicato lo svolgimento di un'assemblea pubblica
all'interno della gradinata sud dopo la conclusione della gara casalinga
contro la Fiorentina.
Ecco il comunicato ufficiale: "Il 2008 sta finendo, è il momento di tirare le somme, sulla realtà che stiamo vivendo a livello di tifoseria e fare chiarezza su quali saranno le battaglie che dovremo essere pronti ad affrotnare il prossimo anno. Per questo e ancora una volta, per fare quadrato. Assemblea Pubblica in Gradinata Sud al termine di Sampdoria - Fiorentina. I Gruppi della Sud".
Fonte: www.sampdorianews.net
Ecco il comunicato ufficiale: "Il 2008 sta finendo, è il momento di tirare le somme, sulla realtà che stiamo vivendo a livello di tifoseria e fare chiarezza su quali saranno le battaglie che dovremo essere pronti ad affrotnare il prossimo anno. Per questo e ancora una volta, per fare quadrato. Assemblea Pubblica in Gradinata Sud al termine di Sampdoria - Fiorentina. I Gruppi della Sud".
Fonte: www.sampdorianews.net
17 dicembre 2008
Controcampo, invasione in diretta tivù arrestato un ultrà del Milan
Controcampo,
invasione in diretta tivù arrestato un ultrà del Milan, tre denunce Ma
sono i tifosi tranquilli a disertare gli stadi
Un centinaio di tifosi milanisti - sembra, in polemica con la loro società per il "caro biglietti" - erano riusciti a entrare negli studi di Cologno Monzese, nonostante il tentativo di intervento delle guardie giurate
Un arresto per resistenza e violenza a pubblico ufficiale, tre denunce a piede libero. E' il primo bilancio dell'invasione dello studio di Controcampo, la trasmissione calcistica di Mediaset, avvenuta domenica poco prima di mezzanotte. Un centinaio di tifosi milanisti - sembra, in polemica con la loro società per il "caro biglietti" - sono riusciti a entrare negli studi di Cologno Monzese, nonostante il tentativo di intervento delle guardie giurate. Entrati nello studio della trasmissione al grido di "Dove sono i biglietti", hanno spaventato i presenti, tanto che il conduttore Alberto Brandi ha fatto mandare in onda la pubblicità.
Alla ripresa della diretta non c'era più traccia in studio del gruppo di tifosi: molti erano già fuggiti, una ventina di loro, però, ha deciso di sfidare i carabinieri con un lancio di sassi. Un militare è stato colpito in volto, in ospedale gli hanno suturato la ferita con quindici punti. Di tutti gli scalmanati, alla fine ne sono rimasti solo quattro: tre sono stati denunciati per l'invasione dello studio, il quarto, M. R., 24 anni, è stato arrestato. Due anni fa era stato sanzionato con il Daspo, il provvedimento di allontanamento dagli stadi per i tifosi violenti: processato per direttissima al tribunale di Monza, ha patteggiato una condanna a otto mesi.
Un centinaio di tifosi milanisti - sembra, in polemica con la loro società per il "caro biglietti" - erano riusciti a entrare negli studi di Cologno Monzese, nonostante il tentativo di intervento delle guardie giurate
Un arresto per resistenza e violenza a pubblico ufficiale, tre denunce a piede libero. E' il primo bilancio dell'invasione dello studio di Controcampo, la trasmissione calcistica di Mediaset, avvenuta domenica poco prima di mezzanotte. Un centinaio di tifosi milanisti - sembra, in polemica con la loro società per il "caro biglietti" - sono riusciti a entrare negli studi di Cologno Monzese, nonostante il tentativo di intervento delle guardie giurate. Entrati nello studio della trasmissione al grido di "Dove sono i biglietti", hanno spaventato i presenti, tanto che il conduttore Alberto Brandi ha fatto mandare in onda la pubblicità.
Alla ripresa della diretta non c'era più traccia in studio del gruppo di tifosi: molti erano già fuggiti, una ventina di loro, però, ha deciso di sfidare i carabinieri con un lancio di sassi. Un militare è stato colpito in volto, in ospedale gli hanno suturato la ferita con quindici punti. Di tutti gli scalmanati, alla fine ne sono rimasti solo quattro: tre sono stati denunciati per l'invasione dello studio, il quarto, M. R., 24 anni, è stato arrestato. Due anni fa era stato sanzionato con il Daspo, il provvedimento di allontanamento dagli stadi per i tifosi violenti: processato per direttissima al tribunale di Monza, ha patteggiato una condanna a otto mesi.
Fonte: "La Repubblica" |
13 dicembre 2008
Io sto con Zamparini!
I tifosi del Palermo si schierano al fianco del presidente Maurizio
Zamparini per protestare contro i "numerosi errori arbitrali" subìti in
maniera "scientifica", dalla squadra di Ballardini. Domenica prossima al
Barbera nella sfida casalinga contro il Siena i tifosi indosseranno
delle magliette con la scritta 'Io sto con Zamparini', che saranno
distribuite nelle curve. Un'altra idea è quella dei fazzoletti bianchi
'alla spagnola', sventolati in segno di protesta verso la classe
arbitrale. Ma c'è anche una petizione da firmare su tutti i siti dei
tifosi rosanero e una lettera da inviare al designatore Collina.
repubblica.it
repubblica.it
11 dicembre 2008
Tifoso della fiorentina infiltrato...
Riceviamo e pubblichiamo
Vivo a Roma e tifo Fiorentina(a proposito: forza viola!). La sfida Lazio Fiorentina (turno infrasettimanale) non prevedeva la vendita di biglietti per il settore ospiti al di fuori dei patrii confini di Firenze
Su consiglio di un amico (che saluto, so che mi sta guardando) ho acquistato un biglietto per il settore Sud, adiacente a quello in cui sarebbero stati confinati i miei compagni di ventura (con la S iniziale, visto l’esito del match), convinto che ai tornelli gli addetti al servizio, mi avrebbero concesso di raggiungere “la stanza degli ospiti”: l’accento toscano avrebbe garantito per la fede che osservo.
Dopo alcuni vani tentativi andati a vuoto con alcuni di loro (nel pieno di uno spleen autunnale che donava loro un’espressione malinconica ma ottusa) mi sono rivolto a un commissario di Polizia che mi ha ribadito, palese: non avrai altro settori all’infuori del Sud!
Quando ho accennato al rischio per la mia incolumità, nell’eventualità di un gol metti al noventesimo della Fiorentina, in cui sarebbe stato difficile trattenere l’esultanza, mi ha risposto con una certa sufficienza: “Ma no… sono tutti dei bravi ragazzi.”
La riposta sapeva di battuta inopportuna ed equivale a “chi cazzo se ne frega!”. Ma la sorte mi ha voluto bene quella sera: la Fiorentina ha perso 3a0 e mi sono mimetizzato tranquillamente tra la gente festante (scomparendo sotto le seggiole a ogni gol della Lazio); e fortuna ha voluto che al poliziotto non fosse scappata la battuta “Tanto la Fiorentina oggi perde” perché forse a quest’ora non potrei commentare questo blog (da un carcere in isolamento la vedo un pò difficile).
Vivo a Roma e tifo Fiorentina(a proposito: forza viola!). La sfida Lazio Fiorentina (turno infrasettimanale) non prevedeva la vendita di biglietti per il settore ospiti al di fuori dei patrii confini di Firenze
Su consiglio di un amico (che saluto, so che mi sta guardando) ho acquistato un biglietto per il settore Sud, adiacente a quello in cui sarebbero stati confinati i miei compagni di ventura (con la S iniziale, visto l’esito del match), convinto che ai tornelli gli addetti al servizio, mi avrebbero concesso di raggiungere “la stanza degli ospiti”: l’accento toscano avrebbe garantito per la fede che osservo.
Dopo alcuni vani tentativi andati a vuoto con alcuni di loro (nel pieno di uno spleen autunnale che donava loro un’espressione malinconica ma ottusa) mi sono rivolto a un commissario di Polizia che mi ha ribadito, palese: non avrai altro settori all’infuori del Sud!
Quando ho accennato al rischio per la mia incolumità, nell’eventualità di un gol metti al noventesimo della Fiorentina, in cui sarebbe stato difficile trattenere l’esultanza, mi ha risposto con una certa sufficienza: “Ma no… sono tutti dei bravi ragazzi.”
La riposta sapeva di battuta inopportuna ed equivale a “chi cazzo se ne frega!”. Ma la sorte mi ha voluto bene quella sera: la Fiorentina ha perso 3a0 e mi sono mimetizzato tranquillamente tra la gente festante (scomparendo sotto le seggiole a ogni gol della Lazio); e fortuna ha voluto che al poliziotto non fosse scappata la battuta “Tanto la Fiorentina oggi perde” perché forse a quest’ora non potrei commentare questo blog (da un carcere in isolamento la vedo un pò difficile).
Manganelli: rigore su tifosi per stadi piu’ pieni
“Non prendiamo misure di rigore per il gusto di privare lo sport
del suo pubblico, ma per consentire alle manifestazioni sportive di
svolgersi e permettere alla gente di andare allo stadio più numerosa e
serena”. Ha risposto così il capo della polizia Antonio Manganelli a chi
gli chiedeva di commentare le critiche arrivate dal mondo del calcio
alle limitazioni agli ingressi dei tifosi negli stadi decise dal
Comitato di analisi sulla sicurezza delle manifestazioni
sportive (Casms), in base alle indicazioni dell’Osservatorio sulle
manifestazioni sportive. “I provvedimenti di rigore – ha spiegato
Manganelli, a margine del primo raduno degli atleti delle Fiamme Oro –
sono funzionali all’affermazione della non violenza”. Il capo dela
polizia ha quindi auspicato “la diffusione della tessera del tifoso”.
(ANSA).
Evitando di cadere in facile ironia in merito al cognome del capo della Polizia, Manganelli, vorremmo proporre qualche spunto di riflessione. Non ci sembra che gli stadi siano pieni, anzi. Se Galliani e Matarrese si lamentano sarà perche non hanno più gli incassi di un tempo. Come mai? Presto detto!
1. Spesso le tifoserie ospiti sono “limitate” se non addirittura bandite.
2. Quando è loro concesso di andare in trasferta, i tifosi che risiedono in una provincia diversa da quella della propria squadra sono impossibilitati o quasi ad acquistare il biglietto del settore ospiti, salvo prenderlo nel luogo dell’evento la domenica mattina mischiandosi ai supporters di casa, tutto ciò non favorisce certo la serenità sugli spalti. Situazioni del genere non se ne vedevano dagli anni ’60…( l’ultimo caso domenica a Lecce: putiferio in curva sud, abbonati letteralmente cacciati da tifosi juventini giunti da province diverse da Torino
3. Capitolo tifosi di casa: se la partita è a rischio la vendita dei biglietti è riservato ai residenti della provincia. Ora è facile immaginare quanto possano essere penalizzati i grandi club che hanno tifosi sparsi in tutta Italia, ma è altresì palese il fatto che la residenza non possa essere una discriminante collegata alla fede calcistica e da qui le assurdità dei casi simili a Lazio-Napoli (Olimpico pieno di napoletani ma residenti a Roma, laziali doc ma delle province limitrofe davanti alla Tv).
4. La tessera del tifoso, non piace nemmeno ai club figuriamoci ai tifosi ed è palesemente solo una schedatura collettiva.
Dottor Manganelli ci permetta : i provvedimenti di rigore, in questo caso, sono un grosso errore arbitrale!
fonte: ANSA
Evitando di cadere in facile ironia in merito al cognome del capo della Polizia, Manganelli, vorremmo proporre qualche spunto di riflessione. Non ci sembra che gli stadi siano pieni, anzi. Se Galliani e Matarrese si lamentano sarà perche non hanno più gli incassi di un tempo. Come mai? Presto detto!
1. Spesso le tifoserie ospiti sono “limitate” se non addirittura bandite.
2. Quando è loro concesso di andare in trasferta, i tifosi che risiedono in una provincia diversa da quella della propria squadra sono impossibilitati o quasi ad acquistare il biglietto del settore ospiti, salvo prenderlo nel luogo dell’evento la domenica mattina mischiandosi ai supporters di casa, tutto ciò non favorisce certo la serenità sugli spalti. Situazioni del genere non se ne vedevano dagli anni ’60…( l’ultimo caso domenica a Lecce: putiferio in curva sud, abbonati letteralmente cacciati da tifosi juventini giunti da province diverse da Torino
3. Capitolo tifosi di casa: se la partita è a rischio la vendita dei biglietti è riservato ai residenti della provincia. Ora è facile immaginare quanto possano essere penalizzati i grandi club che hanno tifosi sparsi in tutta Italia, ma è altresì palese il fatto che la residenza non possa essere una discriminante collegata alla fede calcistica e da qui le assurdità dei casi simili a Lazio-Napoli (Olimpico pieno di napoletani ma residenti a Roma, laziali doc ma delle province limitrofe davanti alla Tv).
4. La tessera del tifoso, non piace nemmeno ai club figuriamoci ai tifosi ed è palesemente solo una schedatura collettiva.
Dottor Manganelli ci permetta : i provvedimenti di rigore, in questo caso, sono un grosso errore arbitrale!
fonte: ANSA
10 dicembre 2008
Aquile in gabbia!
“Il calcio è pura passione popolare e i derby
rappresentano il culmine di tale sentimento. Purtroppo iniqui decreti e
anticostituzionali divieti impediscono alle tifoserie di confrontarsi
onorevolmente e di sostenere i propri colori. Tale gesto vuole
goliardicamente dimostrare che non c’e’ divieto che possa impedire alla
passione di volare. Per tutti i diffidati d’Italia e per tutti gli
assenti forzati.”
“Ultras Catanzaro 1973”
Questo il testo dei volantini lanciati dagli UC’73, in volo, sullo stadio San Vito di Cosenza. Parole che sottoscriviamo in pieno, un gesto ardito compiuto in nome di un sentimento condivisio da tutti, a prescindere dall’appartenenza e dal campanilismo: la passione!
La risposta delle istituzioni non s’è fatta attendere: i tre sono stati tratti in arresto dalle forze dell’ordine, con l’accusa di turbativa di ordine pubblico. Da verificare poi se il divieto di sorvolare zone affollate sia da ritenersi applicabile anche nei confronti degli ultraleggeri, in questo caso ultras leggeri…
“Ultras Catanzaro 1973”
Questo il testo dei volantini lanciati dagli UC’73, in volo, sullo stadio San Vito di Cosenza. Parole che sottoscriviamo in pieno, un gesto ardito compiuto in nome di un sentimento condivisio da tutti, a prescindere dall’appartenenza e dal campanilismo: la passione!
La risposta delle istituzioni non s’è fatta attendere: i tre sono stati tratti in arresto dalle forze dell’ordine, con l’accusa di turbativa di ordine pubblico. Da verificare poi se il divieto di sorvolare zone affollate sia da ritenersi applicabile anche nei confronti degli ultraleggeri, in questo caso ultras leggeri…
9 dicembre 2008
Cosenza – Catanzaro : dove osano le aquile.
COSENZA (8 dicembre) – Costretti a
disertare lo stadio per decisione del Casm, che ha fatto disputare il
derby di seconda divisione Lega pro Cosenza-Catanzaro (finito
0-0) senza tifosi ospiti, tre catanzaresi hanno voluto ugualmente stare
vicini alla squadra e per farlo hanno sorvolato lo stadio San Vito con
altrettanti ultraleggeri e gettando in campo una sciarpa giallorossa. I
tre sono stati però fermati dalla polizia e portati in Questura per
l’identificazione e la loro posizione è ora al vaglio degli
investigatori.
Una legge, infatti, vieta il sorvolo di luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive, ma il mezzo utilizzato (un ultraleggero) rende necessario capire se la norma sia applicabile anche a questi velivoli dotati di motore e di una vela per il volo ma senza struttura metallica.
Il «volo» è avvenuto nell’intervallo della gara. I tre, con le vele gialle e rosse, sono passati sopra lo stadio e giunti sulla perpendicolare del centrocampo uno di loro ha fatto cadere una sciarpa, mentre gli altri due avevano uno striscione con la scritta «le aquile vi sovrastano sempre».
Quindi si sono allontanati. La polizia li ha seguiti raggiungendoli in un campo nelle vicinanze dello stadio dove sono atterrati e prevenendo anche un eventuale intervento dei tifosi cosentini. I tre sono stati portati in Questura per l’identificazione.
Un’azione d’annunziana da parte dei supporters catanzaresi, davvero l’immaginazione non ha confini.
Le giovani generazioni di cosentini e catanzaresi non avevano mai assistito ad un derby. Hanno sognato questa partita per un ventennio, hanno vissuto questa sfida solo nei racconti dei vecchi della curva. Erano diciannove anni che le due squadre non si affronatavano e questa attesa è stata delusa dal divieto di trasferta inflitto alla tifoseria catanzarese.
La curva cosentina ha comunque onorato il derby con grandi coreografie a cui si aggiunge quel lampo giallorosso che ha simbolicamente squarciato il grigio cielo del calcio italiano, oscurato da leggi speciali e provvedimenti ottusi. Il volo delle aquile ha restituito a Cosenza e Catanzaro il vero derby, onore a voi!
http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=37517&sez=LEALTRE
Una legge, infatti, vieta il sorvolo di luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive, ma il mezzo utilizzato (un ultraleggero) rende necessario capire se la norma sia applicabile anche a questi velivoli dotati di motore e di una vela per il volo ma senza struttura metallica.
Il «volo» è avvenuto nell’intervallo della gara. I tre, con le vele gialle e rosse, sono passati sopra lo stadio e giunti sulla perpendicolare del centrocampo uno di loro ha fatto cadere una sciarpa, mentre gli altri due avevano uno striscione con la scritta «le aquile vi sovrastano sempre».
Quindi si sono allontanati. La polizia li ha seguiti raggiungendoli in un campo nelle vicinanze dello stadio dove sono atterrati e prevenendo anche un eventuale intervento dei tifosi cosentini. I tre sono stati portati in Questura per l’identificazione.
Un’azione d’annunziana da parte dei supporters catanzaresi, davvero l’immaginazione non ha confini.
Le giovani generazioni di cosentini e catanzaresi non avevano mai assistito ad un derby. Hanno sognato questa partita per un ventennio, hanno vissuto questa sfida solo nei racconti dei vecchi della curva. Erano diciannove anni che le due squadre non si affronatavano e questa attesa è stata delusa dal divieto di trasferta inflitto alla tifoseria catanzarese.
La curva cosentina ha comunque onorato il derby con grandi coreografie a cui si aggiunge quel lampo giallorosso che ha simbolicamente squarciato il grigio cielo del calcio italiano, oscurato da leggi speciali e provvedimenti ottusi. Il volo delle aquile ha restituito a Cosenza e Catanzaro il vero derby, onore a voi!
http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=37517&sez=LEALTRE
3 dicembre 2008
Ultras e stato di polizia.
In Italia certe parole diventano puntualmente il simbolo
paradigmatico di interi fenomeni. Si dice “il movimento” e si pensa
subito agli studenti in lotta. Si usa l’aggettivo “estrema” vicino alla
parola sinistra o destra, e il pensiero va subito a fazioni border-line
che si muovono a metà strada fra il sistema democratico e l’eversione.
Si parla del terrorismo internazionale e, in linea con l’equazione tanto
cara a George W. Bush, se ne fa un tutt’uno con la religione islamica
come se tutti i seguaci di Maometto fossero aspiranti uomini bomba. E
poi, nel Belpaese angosciato dalla poca sicurezza e dalle mille
emergenze quotidiane raccontate dai media, c’è una parola che adombra un
pericolo costante: ultrà o ultras e subito la mente viene portata a
teppismo, furti, devastazioni, guerriglia urbana. È proprio da qui,
dall’accezione della parola “tifoso” in Italia, che bisogna partire per
capire il motivo dell’interesse per il mondo delle curve.
Sgombriamo subito il campo da un equivoco: gli ultras non sono una categoria, e ultras non è un’etichetta che si può affibbiare tout court a chiunque entri dentro un impianto sportivo per sostenere la propria squadra. Gli ultras non sono assimilabili a categorie sociali come quelle degli operai, degli studenti, degli ingegneri o chissà cos’altro. Il tifoso, l’ultras, l’ultrà è solo uno qualsiasi di noi che mostra un attaccamento estremo, radicale alla propria squadra, alla propria città, ai proprio colori. E ovviamente tutto questo non significa che si tratti di una persona necessariamente violenta e pericolosa. L’ultras è il nostro vicino di casa, è l’operaio, l’avvocato, il giornalista, lo studente, il disoccupato, il papà, l’autista. Per dirla con un luogo comune, è l’uomo della porta accanto.
Allora, evidentemente, c’è qualcosa che non va. Se ultras lo può essere anche un libero professionista, l’accezione corrente è sbagliata. Forse, o probabilmente, è sbagliata in mala fede. E più avanti ne scopriremo anche il motivo. Di fatto, però, agli occhi della classica casalinga di Voghera avere una passione per la propria squadra appare un demerito. E quando magari scopre che il “bravo ragazzo” che conosce da anni è un tifoso radicale, cambi immediatamente la sua valutazione. Non è più così “bravo”. È una specie di delinquente a piede libero, che chissà cosa combina o cosa potrebbe combinare. Non lo ripete, sempre, anche la televisione?
Ecco fatto: il tam tam mediatico ha funzionato, il lavaggio del cervello è andato a segno. Proprio perché il mondo delle curve è stato dipinto come un luogo infernale popolato da reietti della società, l’ultras si ritrova a calamitare su di sé tutto il peggio, prestandosi inconsapevolmente a una strumentalizzazione continua. Che, come vedremo meglio più avanti, ha diverse manifestazioni e differenti scopi, di maggiore o minore portata, a breve o a lungo termine.
All’inizio della scala c’è la manipolazione spicciola, quella che è stata ben definita, anche in altri ambiti, “arma di distrazione di massa”. Per esempio: l’uso del tifo organizzato per non soffermarsi su altro, come nel caso della farsa mediatica dei tifosi napoletani in trasferta a Roma per la prima giornata di campionato, coi disordini gonfiati ad arte per monopolizzare l’attenzione e mettere in ombra l’avvio (si fa per dire, visto l’immediato rinvio per irregolarità procedurali) del processo per l’omicidio di Gabriele Sandri da parte dell’agente di polizia Luigi Spaccarotella.
A un livello ben più alto c’è invece l’utilizzo degli ultras come pretesto per assumer provvedimenti di carattere generale, che investono o si preparano a investire l’intera società. Il processo mediatico e la condanna morale degli ultras che divengono, per dirla in termini giuridici, il “precedente” su cui basare leggi liberticide, anti-costituzionali e, addirittura, contro il senso comune. Una sorta di laboratorio in cui si cominciano a sperimentare le dinamiche autoritarie del Grande Fratello, giustificando in nome dell’ordine pubblico lo Stato di polizia e il controllo su tutto e tutti. Un esperimento che, essendo fatto innanzitutto sulla pelle della “peggio gioventù”, non alza polveroni e lascia mano libera, permettendo operazioni sotterranee che in seguito, però, potranno andare a colpire qualunque altro segmento della società.
esempio su tutti? Le leggi speciali approvate durante gli anni di piombo. Trenta anni dopo sono ancora vive e vegete. E soprattutto attivissime. Eppure, fortunatamente, per le strade della nostra nazione non ci si spara più per ragioni politiche. Non ci sono più attentati e agguati reciproci.
Ancora oggi, però, esistono divisioni della polizia politica che hanno sostanzialmente mano libera nel colpire chiunque non abbia posizioni moderate. Ci sono leggi che colpiscono esclusivamente le idee o i simboli. Ci sono, ancora, normative che danno carta bianca allo Stato nel controllare il cittadino.
Come abbiamo già detto, i provvedimenti speciali hanno come incubatore preferito il mondo delle curve, quel mondo che difficilmente qualche politico o qualche istituzione pubblica difenderà mai. Ogni governo che è rimasto per più di qualche mese a Palazzo Chigi ha colpito il mondo del tifo. La prima operazione è stata la destrutturazione: colpire il tifo organizzato, gli esponenti dei gruppi, quelli che ogni settimana mettevano in piedi una macchina organizzativa fatta di riunioni, appuntamenti, coreografie, stadio. In pratica, si è incominciato a criminalizzare quelli che stavano dietro uno striscione specifico, che si prestava alla strumentalizzazione. Ecco le diffide, ecco le perquisizioni preventive. Siccome domani tu potresti fare chissà che cosa, io intanto stanotte vengo a casa tua, ti metto a soqquadro l’abitazione e ti faccio capire che è meglio stare attento. Oppure, io polizia ho una lista di nomi di persone che sono andate in trasferta in un certo posto, qualcuno ha creato problemi, e allora cosa faccio? Io Stato “diffido” tutti. La diffida, ovvero il Daspo, acronimo di “divieto di accedere a manifestazioni sportive”, esiste dal 1989.
Di cosa sia, di come venga usato, e del suo stesso fondato sospetto di incostituzionalità, parliamo diffusamente nell’intervista che segue, con l’avvocato Lorenzo Contucci. Basti dire, qui, che la diffida è un’arma con cui è stato colpito senza remore o distinzioni il mondo degli stadi. Uno strumento messo in mano alle questure e lasciato al loro libero arbitrio.
Le questure hanno carta bianca nel colpire chiunque. E se domani lo stesso provvedimento, la stessa logica fosse spostata nel campo delle manifestazioni politiche o sindacali?
Per non parlare poi dell’introduzione del famigerato “arresto in flagranza differita”: un controsenso in termini, visto che già la parola stessa di flagranza significa che qualcuno è stato colto con le mani nel sacco. L’aggiunta della “differita” è solo un modo, molto contestato dagli stessi giuristi, per colpire gli stadi, con la traduzione immediata in carcere, e chissà domani chi altro.
Ma non è finita qui. Dopo la morte dell’ispettore di polizia Filippo Raciti, sull’onda mediatica dello sdegno costruito a tavolino per gli scontri tra catanesi e palermitani, abbiamo assistito a un inasprimento delle misure contro gli ultras. Vietate la maggior parte delle trasferte.
Vietati gli striscioni non ignifughi (!?). Vietata la vendita dei biglietti se non dietro presentazione di un documento. Chiusura dei settori ospiti (creando una pericolosa vicinanza nei settori “normali” tra tifosi di fede opposta).
stadio italiano, per esporre uno striscione c’è bisogno del via libera della procura tramite un fax mandato almeno due giorni prima della partita.
Oggi, non possono più entrare i materiali preparati per le coreografie. Oggi, gli stadi italiani stanno diventando sempre più grigi e silenziosi. Il controllo e la repressione senza distinzioni stanno distruggendo dalle fondamenta il tifo organizzato, con due gravi conseguenze: la scomparsa dei gruppi strutturati, favorendo così gruppetti di cani sciolti incontrollabili, e l’allontanamento dagli stadi di famiglie e bambini. Se per andare allo stadio con mio figlio devo subire una trafila da controlli anti-terrorismo, finisce che lascio perdere.
E anche le ultime notizie che ci arrivano sono tutt’altro che confortanti. Dopo i fatti di Bulgaria-Italia (e ci sarebbe da chiedersi quali “fatti”, visto che la maggior parte delle foto che sono arrivate da noi erano di tifosi bulgari e non di italiani, come detto dai media e dagli
imbarazzatissimi politici), il presidente della Figc Giancarlo Abete ha fatto sapere che non ci sarebbero più stati biglietti per le partite dell’Italia all’estero. Ma come? Se pure fosse confermata la versione ufficiale, bastano 144 (il numero dei biglietti venduti a Sofia) facinorosi per togliere a tutta l’Italia la possibilità di seguire i nostri azzurri?
Poi, la perla finale che avevamo anticipato sul numero scorso: la carta del tifoso. A cosa serve? È un sistema, spiegano dal Viminale, per “fidelizzare sempre più i tifosi ai loro club e, nello stesso tempo, per emarginare le frange più violente del tifo. Una specie di telepass che consente
l’ingresso agevolato negli stadi”. Peccato che non dicano a chiare lettere cosa si nasconde dietro a tutto questo. Per avere la “tessera” io normale cittadino devo fare richiesta alla società che, però, deve chiedere il permesso alla questura del luogo. A decidere chi sono i buoni e chi sono i
cattivi, dunque, non sono le società sportive. È la polizia. E se io sono già nella sua lista nera del Viminale, come faccio a uscirne?
Si comincia così. Si comincia a stabilire chi può entrare e chi non può entrare negli stadi. Domani lo si potrà fare coi concerti. E poi coi raduni di ogni altro tipo. E poi con gli spostamenti individuali. Vuoi andare da qualche parte? Chiedilo alla questura. Senti, preventivamente, se è d’accordo oppure no. O se è meglio che tu te ne resti a casa, in nome dei supremi interessi dell’ordine pubblico.
Ci sono state alcune generazioni che hanno combattuto per qualcosa in cui credevano. Generazioni che sono cresciute forti, sane e mentalmente libere. Comunque sia, con lo sguardo rivolto al futuro, con la faccia rivolta all’insù. Storicamente, invece, le generazioni di mezzo sono sempre state quelle frustrate, che non avevano nulla per cui lottare. Magari cresciute
nella pace e nella prosperità, ma di contro vissute nella luce, indiretta, dei racconti dei fratelli maggiori. Generazioni senza un punto cardine su cui costruire la propria vita. Basti pensare ai tanti dopoguerra, ai post-rivoluzionari, a quelli che sono nati in una situazione totalmente
“normalizzata”. Rabbia, frustrazione e soprattutto poca consapevolezza del futuro, con la scomparsa di una visione libera e d’insieme.
ghiaccio, le gradinate di stadi e palazzetti dello sport vengono riempite da giovani. Ragazzi con i propri eccessi, ma fedeli alla propria tribù. Con i propri riti, le proprie battaglie, fatte di feriti e prigionieri, il proprio codice d’onore, fatto di regole non scritte. Certo, sono tribù che si affrontano a viso aperto e senza troppi problemi. Gruppi che canalizzano la propria rabbia, simulando una guerra che non c’è più, una rivoluzione ormai tramontata da decenni. Ma quello che più importa è che sono ragazzi che vivono di passione, attaccamento alla bandiera, amicizia, fedeltà. Giornate passate a pensare slogan e produrre coreografie (quando si potevano fare). Piani per colorare la propria seconda casa, la curva. Serate passate a ridere e scherzare con tanto di “reduci” che raccontano le battaglie del passato, del presente e del futuro. Certo, qualcuno inorridirà davanti ad affermazioni di questo tipo, ma soprattutto oggi, nella società basata sul consumismo e la lobotomizzazione televisiva dei cervelli, chi ha il germe della ribellione sta dalla parte giusta. Il problema, semmai, sarebbe incanalare sulla strada corretta e con qualche eccesso in meno forze così importanti.
Lo Stato non può che aver paura di tutto questo. E allora – invece di infondere nei più giovani la fiducia nelle Istituzioni, invece di mostrare loro la buona amministrazione della res publica, invece di far capire che alla fine le forze di polizia possono essere veramente amiche del cittadino – lo Stato reprime, comprime le spinte giovanili, pretende di normalizzare tutte le situazioni anomale. Quando non fa di peggio, ovviamente: come cercare di insabbiare l’uccisione senza motivo di un ragazzo che viaggia dentro una macchina in autostrada, omettendo di punire per direttissima il colpevole solo perché porta la divisa. Come si può chiedere a un ragazzo di avere fiducia nel sistema?
L’impressione è che, anche nel caso del popolo delle curve, si tenti solamente di destrutturare da cima a fondo l’aggregazione giovanile che potrebbe portare più consapevolezza e, quindi, più problemi. Meglio generazioni di ragazzi che si istupidiscono davanti a chat, social network,
spot televisivi, magari accompagnando il tutto con un po’ di droga. Saranno sicuramente più innocui, più facili da manipolare, da neutralizzare, da asservire alla logica di chi detiene il potere. Saranno i cittadini ideali di questo Stato per niente ideale.
(Tommaso Della Longa, articolo tratto da ilribelle.com)
Sgombriamo subito il campo da un equivoco: gli ultras non sono una categoria, e ultras non è un’etichetta che si può affibbiare tout court a chiunque entri dentro un impianto sportivo per sostenere la propria squadra. Gli ultras non sono assimilabili a categorie sociali come quelle degli operai, degli studenti, degli ingegneri o chissà cos’altro. Il tifoso, l’ultras, l’ultrà è solo uno qualsiasi di noi che mostra un attaccamento estremo, radicale alla propria squadra, alla propria città, ai proprio colori. E ovviamente tutto questo non significa che si tratti di una persona necessariamente violenta e pericolosa. L’ultras è il nostro vicino di casa, è l’operaio, l’avvocato, il giornalista, lo studente, il disoccupato, il papà, l’autista. Per dirla con un luogo comune, è l’uomo della porta accanto.
Allora, evidentemente, c’è qualcosa che non va. Se ultras lo può essere anche un libero professionista, l’accezione corrente è sbagliata. Forse, o probabilmente, è sbagliata in mala fede. E più avanti ne scopriremo anche il motivo. Di fatto, però, agli occhi della classica casalinga di Voghera avere una passione per la propria squadra appare un demerito. E quando magari scopre che il “bravo ragazzo” che conosce da anni è un tifoso radicale, cambi immediatamente la sua valutazione. Non è più così “bravo”. È una specie di delinquente a piede libero, che chissà cosa combina o cosa potrebbe combinare. Non lo ripete, sempre, anche la televisione?
Ecco fatto: il tam tam mediatico ha funzionato, il lavaggio del cervello è andato a segno. Proprio perché il mondo delle curve è stato dipinto come un luogo infernale popolato da reietti della società, l’ultras si ritrova a calamitare su di sé tutto il peggio, prestandosi inconsapevolmente a una strumentalizzazione continua. Che, come vedremo meglio più avanti, ha diverse manifestazioni e differenti scopi, di maggiore o minore portata, a breve o a lungo termine.
All’inizio della scala c’è la manipolazione spicciola, quella che è stata ben definita, anche in altri ambiti, “arma di distrazione di massa”. Per esempio: l’uso del tifo organizzato per non soffermarsi su altro, come nel caso della farsa mediatica dei tifosi napoletani in trasferta a Roma per la prima giornata di campionato, coi disordini gonfiati ad arte per monopolizzare l’attenzione e mettere in ombra l’avvio (si fa per dire, visto l’immediato rinvio per irregolarità procedurali) del processo per l’omicidio di Gabriele Sandri da parte dell’agente di polizia Luigi Spaccarotella.
A un livello ben più alto c’è invece l’utilizzo degli ultras come pretesto per assumer provvedimenti di carattere generale, che investono o si preparano a investire l’intera società. Il processo mediatico e la condanna morale degli ultras che divengono, per dirla in termini giuridici, il “precedente” su cui basare leggi liberticide, anti-costituzionali e, addirittura, contro il senso comune. Una sorta di laboratorio in cui si cominciano a sperimentare le dinamiche autoritarie del Grande Fratello, giustificando in nome dell’ordine pubblico lo Stato di polizia e il controllo su tutto e tutti. Un esperimento che, essendo fatto innanzitutto sulla pelle della “peggio gioventù”, non alza polveroni e lascia mano libera, permettendo operazioni sotterranee che in seguito, però, potranno andare a colpire qualunque altro segmento della società.
Le leggi speciali che diventano la normalità
Ogni volta che si sente parlare di “leggi speciali”, soprattutto qui in Italia, bisognerebbe subito diffidare. Un provvedimento speciale, infatti, dovrebbe non solo essere legato a eventi particolari e di estrema gravità, ma restare comunque una misura eccezionale e temporanea, che viene abrogata non appena si è usciti dalla fase di massimo pericolo. Ma non è così. Unesempio su tutti? Le leggi speciali approvate durante gli anni di piombo. Trenta anni dopo sono ancora vive e vegete. E soprattutto attivissime. Eppure, fortunatamente, per le strade della nostra nazione non ci si spara più per ragioni politiche. Non ci sono più attentati e agguati reciproci.
Ancora oggi, però, esistono divisioni della polizia politica che hanno sostanzialmente mano libera nel colpire chiunque non abbia posizioni moderate. Ci sono leggi che colpiscono esclusivamente le idee o i simboli. Ci sono, ancora, normative che danno carta bianca allo Stato nel controllare il cittadino.
La grande leva della paura
Entrati nel Terzo Millennio, per giustificare il controllo globale ci siamo trovati davanti a una vera e propria campagna mediatica mirata a instillare nei cittadini la paura, giorno dopo giorno, anno dopo anno. Paura del terrorismo. Paura delle epidemie e delle nuove malattie. Paura del vicino di casa. Paura di camminare per la strada. Come è stato possibile tutto ciò? Semplice: continui richiami in televisione ad assassinii, a morti improvvise, a stupri, a rapine. Tutti modi per inculcare nella testa di ogni bravo cittadino l’idea, e il bisogno, di maggiore sicurezza, da ottenere a qualsiasi costo. Più controllo, più ordine. Nelle nostre strade, oggi, vediamo le mimetiche verdi dell’esercito. Ma forse è quello che non vediamo, la parte più preoccupante. E qui si torna ai famigerati ultras.Come abbiamo già detto, i provvedimenti speciali hanno come incubatore preferito il mondo delle curve, quel mondo che difficilmente qualche politico o qualche istituzione pubblica difenderà mai. Ogni governo che è rimasto per più di qualche mese a Palazzo Chigi ha colpito il mondo del tifo. La prima operazione è stata la destrutturazione: colpire il tifo organizzato, gli esponenti dei gruppi, quelli che ogni settimana mettevano in piedi una macchina organizzativa fatta di riunioni, appuntamenti, coreografie, stadio. In pratica, si è incominciato a criminalizzare quelli che stavano dietro uno striscione specifico, che si prestava alla strumentalizzazione. Ecco le diffide, ecco le perquisizioni preventive. Siccome domani tu potresti fare chissà che cosa, io intanto stanotte vengo a casa tua, ti metto a soqquadro l’abitazione e ti faccio capire che è meglio stare attento. Oppure, io polizia ho una lista di nomi di persone che sono andate in trasferta in un certo posto, qualcuno ha creato problemi, e allora cosa faccio? Io Stato “diffido” tutti. La diffida, ovvero il Daspo, acronimo di “divieto di accedere a manifestazioni sportive”, esiste dal 1989.
Di cosa sia, di come venga usato, e del suo stesso fondato sospetto di incostituzionalità, parliamo diffusamente nell’intervista che segue, con l’avvocato Lorenzo Contucci. Basti dire, qui, che la diffida è un’arma con cui è stato colpito senza remore o distinzioni il mondo degli stadi. Uno strumento messo in mano alle questure e lasciato al loro libero arbitrio.
Le questure hanno carta bianca nel colpire chiunque. E se domani lo stesso provvedimento, la stessa logica fosse spostata nel campo delle manifestazioni politiche o sindacali?
Per non parlare poi dell’introduzione del famigerato “arresto in flagranza differita”: un controsenso in termini, visto che già la parola stessa di flagranza significa che qualcuno è stato colto con le mani nel sacco. L’aggiunta della “differita” è solo un modo, molto contestato dagli stessi giuristi, per colpire gli stadi, con la traduzione immediata in carcere, e chissà domani chi altro.
Ma non è finita qui. Dopo la morte dell’ispettore di polizia Filippo Raciti, sull’onda mediatica dello sdegno costruito a tavolino per gli scontri tra catanesi e palermitani, abbiamo assistito a un inasprimento delle misure contro gli ultras. Vietate la maggior parte delle trasferte.
Vietati gli striscioni non ignifughi (!?). Vietata la vendita dei biglietti se non dietro presentazione di un documento. Chiusura dei settori ospiti (creando una pericolosa vicinanza nei settori “normali” tra tifosi di fede opposta).
“Si comincia a stabilire chi può entrare negli stadi. Domani lo si potrà fare coi concerti. E poi coi raduni di ogni altro tipo”
Praticamente si è sancito il principio che una minoranza di facinorosi può decidere per tutta l’Italia e che, forse, conviene avere un po’ di violenza da mettere in prima pagina per tenere buoni gli italiani e indurli a sollecitare maggiore sicurezza. Ci sarebbe da chiedersi se tutto questo ragionamento possa essere applicato all’esterno. L’equazione sarebbe semplice. Visto che davanti alle discoteche ci sono le risse o in autostrada ci sono gli ubriachi che fanno gli incidenti, perché non introdurre le autostrade e le discoteche “a porte chiuse”? Oggi, in ognistadio italiano, per esporre uno striscione c’è bisogno del via libera della procura tramite un fax mandato almeno due giorni prima della partita.
Oggi, non possono più entrare i materiali preparati per le coreografie. Oggi, gli stadi italiani stanno diventando sempre più grigi e silenziosi. Il controllo e la repressione senza distinzioni stanno distruggendo dalle fondamenta il tifo organizzato, con due gravi conseguenze: la scomparsa dei gruppi strutturati, favorendo così gruppetti di cani sciolti incontrollabili, e l’allontanamento dagli stadi di famiglie e bambini. Se per andare allo stadio con mio figlio devo subire una trafila da controlli anti-terrorismo, finisce che lascio perdere.
E anche le ultime notizie che ci arrivano sono tutt’altro che confortanti. Dopo i fatti di Bulgaria-Italia (e ci sarebbe da chiedersi quali “fatti”, visto che la maggior parte delle foto che sono arrivate da noi erano di tifosi bulgari e non di italiani, come detto dai media e dagli
imbarazzatissimi politici), il presidente della Figc Giancarlo Abete ha fatto sapere che non ci sarebbero più stati biglietti per le partite dell’Italia all’estero. Ma come? Se pure fosse confermata la versione ufficiale, bastano 144 (il numero dei biglietti venduti a Sofia) facinorosi per togliere a tutta l’Italia la possibilità di seguire i nostri azzurri?
Poi, la perla finale che avevamo anticipato sul numero scorso: la carta del tifoso. A cosa serve? È un sistema, spiegano dal Viminale, per “fidelizzare sempre più i tifosi ai loro club e, nello stesso tempo, per emarginare le frange più violente del tifo. Una specie di telepass che consente
l’ingresso agevolato negli stadi”. Peccato che non dicano a chiare lettere cosa si nasconde dietro a tutto questo. Per avere la “tessera” io normale cittadino devo fare richiesta alla società che, però, deve chiedere il permesso alla questura del luogo. A decidere chi sono i buoni e chi sono i
cattivi, dunque, non sono le società sportive. È la polizia. E se io sono già nella sua lista nera del Viminale, come faccio a uscirne?
Si comincia così. Si comincia a stabilire chi può entrare e chi non può entrare negli stadi. Domani lo si potrà fare coi concerti. E poi coi raduni di ogni altro tipo. E poi con gli spostamenti individuali. Vuoi andare da qualche parte? Chiedilo alla questura. Senti, preventivamente, se è d’accordo oppure no. O se è meglio che tu te ne resti a casa, in nome dei supremi interessi dell’ordine pubblico.
Quando l’aggregazione giovanile fa paura
I giovani, si sa, fanno sempre paura a ogni sistema di potere. Ragazzi erano quelli di Budapest che nel ’56 hanno sfidato l’Urss, come studenti erano quelli che nel ’68 hanno combattuto per la libertà di Praga. Il movimento del ’68, le lotte del ’77, gli universitari degli ’80, i figli del riflusso e poi successivamente della caduta del Muro di Berlino del 1989. Per non parlare poi delle avanguardie culturali e di pensiero, come nel lampante caso del Futurismo e dell’impresa di Fiume o in quello della rivoluzione cubana capeggiata da Fidel Castro e Ernesto “Che” Guevara. Anche oggi dai giovani (molte volte anche ultras) partono le rivolte: a Budapest contro il premier liberal-liberista Ferenc Gyurcsány, a Belfast contro l’occupante britannico, a Parigi nelle banlieue, a Gaza contro i carri armati israeliani. Il minimo comun denominatore di tutti questi avvenimenti è la gioventù dei partecipanti alla rivolta, alla lotta, alla guerra, alla guerriglia, alla rivoluzione.Ci sono state alcune generazioni che hanno combattuto per qualcosa in cui credevano. Generazioni che sono cresciute forti, sane e mentalmente libere. Comunque sia, con lo sguardo rivolto al futuro, con la faccia rivolta all’insù. Storicamente, invece, le generazioni di mezzo sono sempre state quelle frustrate, che non avevano nulla per cui lottare. Magari cresciute
nella pace e nella prosperità, ma di contro vissute nella luce, indiretta, dei racconti dei fratelli maggiori. Generazioni senza un punto cardine su cui costruire la propria vita. Basti pensare ai tanti dopoguerra, ai post-rivoluzionari, a quelli che sono nati in una situazione totalmente
“normalizzata”. Rabbia, frustrazione e soprattutto poca consapevolezza del futuro, con la scomparsa di una visione libera e d’insieme.
“Lo Stato reprime, comprime le spinte giovanili, pretende di normalizzare tutte le situazioni anomale.”
Dalla fine degli anni ’50 (e forse anche da prima) ai giorni nostri, esiste un solo movimento di aggregazione giovanile che ha continuato a vivere, a passarsi il testimone, ad avere nuovi capi e a poter contare su migliaia di presenze. Il mondo ultras. Ogni domenica, dal calcio all’hockey sughiaccio, le gradinate di stadi e palazzetti dello sport vengono riempite da giovani. Ragazzi con i propri eccessi, ma fedeli alla propria tribù. Con i propri riti, le proprie battaglie, fatte di feriti e prigionieri, il proprio codice d’onore, fatto di regole non scritte. Certo, sono tribù che si affrontano a viso aperto e senza troppi problemi. Gruppi che canalizzano la propria rabbia, simulando una guerra che non c’è più, una rivoluzione ormai tramontata da decenni. Ma quello che più importa è che sono ragazzi che vivono di passione, attaccamento alla bandiera, amicizia, fedeltà. Giornate passate a pensare slogan e produrre coreografie (quando si potevano fare). Piani per colorare la propria seconda casa, la curva. Serate passate a ridere e scherzare con tanto di “reduci” che raccontano le battaglie del passato, del presente e del futuro. Certo, qualcuno inorridirà davanti ad affermazioni di questo tipo, ma soprattutto oggi, nella società basata sul consumismo e la lobotomizzazione televisiva dei cervelli, chi ha il germe della ribellione sta dalla parte giusta. Il problema, semmai, sarebbe incanalare sulla strada corretta e con qualche eccesso in meno forze così importanti.
Lo Stato non può che aver paura di tutto questo. E allora – invece di infondere nei più giovani la fiducia nelle Istituzioni, invece di mostrare loro la buona amministrazione della res publica, invece di far capire che alla fine le forze di polizia possono essere veramente amiche del cittadino – lo Stato reprime, comprime le spinte giovanili, pretende di normalizzare tutte le situazioni anomale. Quando non fa di peggio, ovviamente: come cercare di insabbiare l’uccisione senza motivo di un ragazzo che viaggia dentro una macchina in autostrada, omettendo di punire per direttissima il colpevole solo perché porta la divisa. Come si può chiedere a un ragazzo di avere fiducia nel sistema?
L’impressione è che, anche nel caso del popolo delle curve, si tenti solamente di destrutturare da cima a fondo l’aggregazione giovanile che potrebbe portare più consapevolezza e, quindi, più problemi. Meglio generazioni di ragazzi che si istupidiscono davanti a chat, social network,
spot televisivi, magari accompagnando il tutto con un po’ di droga. Saranno sicuramente più innocui, più facili da manipolare, da neutralizzare, da asservire alla logica di chi detiene il potere. Saranno i cittadini ideali di questo Stato per niente ideale.
(Tommaso Della Longa, articolo tratto da ilribelle.com)
Boys 1977 vs Matarrese
fonte: .sportpeople.net
Riceviamo e pubblichiamo dagli amici dei Boys Parma un articolo su una loro azione ad un convegno in cui interveniva Antonio Matarrese.
In mezzo ad un mondo di giornalisti proni e ultras buoni alla contestazione solo amichevole e a parole, complimenti ad un gruppo che ancora ci mette la faccia, che si espone direttamente e che contrasta e mette in imbarazzo con misure concrete chi spadroneggia. Una in più di queste azioni ed uno striscione o un coro in meno aiuterebbero a dare più credibilità agli ultras, a far capire che nelle curve non ci sono solo scimmie urlatrici, ma anche teste pensanti capaci di mettere in crisi questo sistema repressivo.
Ieri mattina, presso l'Aula Magna della Facoltà di Economia di Parma in via Kennedy, s'è tenuto il Convegno "Giocare di squadra: il dirigente sportivo tra esperienza e futuro" finalizzato alla presentazione del "Master Internazionale in Strategia e Pianificazione delle Organizzazioni, degli Eventi e degli Impianti Sportivi". Tra gli intervenuti era presente Antonio Matarrese, attuale presidente della Lega Calcio.
Chiamare Antonio Matarrese a concorrere alla formazione dei dirigenti sportivi del futuro significa voler perpetuare nel tempo tutte quelle politiche speculative e repressive che hanno caratterizzato, e continuano a caratterizzare, la sua lunghissima carriera. Politiche che hanno impoverito il sistema calcio e tutto il Paese.
Un piccolo drappello di BOYS s'è recato al Convegno.
Lo spettacolo è stato veramente triste. I politici locali, gli imprenditori, i giornalisti, gli sportivi, gli opinionisti: tutti in ginocchio da Don Tonino. Nessuna critica, mille adulazioni, tanti sorrisi. Arriva il potente e anche qui, in quella che qualcuno crede sia un'isola felice, nella moderna e settentrionale Parma, siamo al "baciamo le mani sua eccellenza". Siamo a 780 chilometri da Bari, dove il potere dei Matarrese è di casa, opprimente e concreto, a 360°, con la sua cementizzazione folle che gli fa da tragico monumento. Ma anche qui il nome dei Matarrese conta, e allora giù, tutti a chinare la testa. "Tengo famiglia", "Tengo un lavoro". Il malcostume s'è fatto sistema e il lecchinaggio è diffuso.
Ma anche se tutti, noi no. Ancora una volta le uniche critiche ai potenti e ai loro progetti di speculazione e devastazione sono arrivate dai BOYS. Per trovare un po' di coraggio, un po' di altruismo, un po' d'onestà e un po' di dignità: ci vogliono gli ultras. Che sia per questo che ci vogliono eliminare?
L'intervento di Antonio Matarrese è stato patetico. Per una ventina di minuti ha cercato di conquistare il pubblico parlando con estrema semplicità, vantando umili origini, regalando sorrisi e battutine. Ha raccontato la sua carriera (al Bari Calcio, in Figc, in Lega Calcio, in Parlamento, in Fifa, ecc. ecc.) come se tutto fosse avvenuto per caso, con lui in balia dagli eventi. Si è finto umile, semplice, generoso ed altruista. Con questo atteggiamento, apparentemente confidenziale (non era un dialogo ma un monologo), ha mistificato fatti di corruzione in riferimento all'ultimo caso Calciopoli conosciuto, affermando che certe azioni sarebbero state fatte, semplicemente, per accontentare i tifosi. Una dimostrazione di cosa intende per "generosità" Matarrese.
Un nostro portavoce ha avuto la parola per qualche attimo ed è riuscito ad esprimere qualche nostro pensiero. Sì è criticata la decisione di chiamare Antonio Matarrese a concorrere alla formazione di nuovi dirigenti sportivi, essendo lui tra i principali responsabili (come presidente della Lega Calcio) della crisi del sistema, che attraverso speculazione e repressione ha svuotato gli stadi e li ha privati dei colori. Si è ricordato ai presenti e all'opinione pubblica (c'erano anche i giornalisti) la sua recente proposta di costruire celle negli stadi. Si è criticata la decisione di costruire nuovi impianti per fini speculativi (tant'è che non saranno impianti sportivi ma polifunzionali, tutt'altra cosa), esprimendo gravi preoccupazioni per i soggetti coinvolti (a partire, proprio, dallo stesso Matarrese) che potrebbero produrre tante nuove "Punta Perotti" (l'ecomostro costruito dai Matarrese a Bari e fatto abbattere con la dinamite dallo Stato).
Un silenzio totale è sceso nell'Aula Magna e Antonio Matarrese è sbiancato. Per alcuni secondi è rimasto senza parole, spiazzato da critiche che non pensava qualcuno avrebbe avuto l'onesta di fargli. Ha cercato di mantenere la calma, continuando la farsa, ma poi per un attimo ha perso il controllo, facendo uscire allo scoperto la sua vera personalità: arrogante e supponente. Quella che lo ha portato a definire una "porcata" l'abbattimento dell'ecomostro di Punta Perotti, quell'ammasso di cemento a due passi dal mare che (chissà perché...) l'amministrazione di Bari aveva autorizzato in sfregio alle leggi dello Stato. Perché Matarrese a Bari, vale forse più dello Stato. E forse anche qui.
Nel suo nervoso s'è dimenticato di fingersi umile e in riferimento all'abbattimento di Punta Perotti ha parlato di un danno ad una "dinastia". La sua dinastia, la casa regnante, quella dei Matarrese di Bari. Perché per lui, forse, Bari non è una città della Repubblica ma un feudo della sua famiglia.
Pochi attimi e ha ripreso il controllo, cercando di fingersi amicone pure di noi ultras... Il nostro portavoce gli ha chiesto di impegnarsi, allora, per la libertà di tifo. Ovviamente è stato evasivo. Sugli striscioni ha detto che sarebbe favorevole, dipende cosa c'è scritto su. La libertà d'espressione per Matarrese va bene, purché non sia contro lui, i suoi interessi, quelli dei suoi amici e della sua "dinastia".
Fuori del convegno abbiamo distribuito (a politici, giornalisti, invitati e studenti) un nostro volantino che ha riassunto qualche nostro pensiero: "Speculazione + Repressione = Stadi vuoti e senza colore. Nuovi impianti sportivi: quante nuove Punta Perotti? Un altro concetto di sport: Matarrese vattene".
Fuori dall'aula alcuni studenti sono venuti a farci i complimenti per l'intervento e a darci la mano. Tra loro c'era anche qualche ragazzo di Bari, che sa bene cosa significa "Matarrese". Gesti spontanei e disinteressati che abbiamo apprezzato.
I giornalisti locali erano presenti ma molti hanno preferito tacere la nostra protesta, ma soprattutto: le tante verità scomode che andrebbero raccontate, da chi ha il dovere deontologico di informare. Purtroppo tanti giornalisti preferiscono fare servizi sull'ipotesi di una "merendina rubata" (molto meno rischiosa) - e magari senza neppure ascoltare chi accusano - che trattare argomenti riguardanti imperi economici che promuovono politiche in contrasto con gli interessi della collettività.
PER UN CALCIO PULITO: UN CALCIO A MATARRESE!
Riceviamo e pubblichiamo dagli amici dei Boys Parma un articolo su una loro azione ad un convegno in cui interveniva Antonio Matarrese.
In mezzo ad un mondo di giornalisti proni e ultras buoni alla contestazione solo amichevole e a parole, complimenti ad un gruppo che ancora ci mette la faccia, che si espone direttamente e che contrasta e mette in imbarazzo con misure concrete chi spadroneggia. Una in più di queste azioni ed uno striscione o un coro in meno aiuterebbero a dare più credibilità agli ultras, a far capire che nelle curve non ci sono solo scimmie urlatrici, ma anche teste pensanti capaci di mettere in crisi questo sistema repressivo.
Ieri mattina, presso l'Aula Magna della Facoltà di Economia di Parma in via Kennedy, s'è tenuto il Convegno "Giocare di squadra: il dirigente sportivo tra esperienza e futuro" finalizzato alla presentazione del "Master Internazionale in Strategia e Pianificazione delle Organizzazioni, degli Eventi e degli Impianti Sportivi". Tra gli intervenuti era presente Antonio Matarrese, attuale presidente della Lega Calcio.
Chiamare Antonio Matarrese a concorrere alla formazione dei dirigenti sportivi del futuro significa voler perpetuare nel tempo tutte quelle politiche speculative e repressive che hanno caratterizzato, e continuano a caratterizzare, la sua lunghissima carriera. Politiche che hanno impoverito il sistema calcio e tutto il Paese.
Un piccolo drappello di BOYS s'è recato al Convegno.
Lo spettacolo è stato veramente triste. I politici locali, gli imprenditori, i giornalisti, gli sportivi, gli opinionisti: tutti in ginocchio da Don Tonino. Nessuna critica, mille adulazioni, tanti sorrisi. Arriva il potente e anche qui, in quella che qualcuno crede sia un'isola felice, nella moderna e settentrionale Parma, siamo al "baciamo le mani sua eccellenza". Siamo a 780 chilometri da Bari, dove il potere dei Matarrese è di casa, opprimente e concreto, a 360°, con la sua cementizzazione folle che gli fa da tragico monumento. Ma anche qui il nome dei Matarrese conta, e allora giù, tutti a chinare la testa. "Tengo famiglia", "Tengo un lavoro". Il malcostume s'è fatto sistema e il lecchinaggio è diffuso.
Ma anche se tutti, noi no. Ancora una volta le uniche critiche ai potenti e ai loro progetti di speculazione e devastazione sono arrivate dai BOYS. Per trovare un po' di coraggio, un po' di altruismo, un po' d'onestà e un po' di dignità: ci vogliono gli ultras. Che sia per questo che ci vogliono eliminare?
L'intervento di Antonio Matarrese è stato patetico. Per una ventina di minuti ha cercato di conquistare il pubblico parlando con estrema semplicità, vantando umili origini, regalando sorrisi e battutine. Ha raccontato la sua carriera (al Bari Calcio, in Figc, in Lega Calcio, in Parlamento, in Fifa, ecc. ecc.) come se tutto fosse avvenuto per caso, con lui in balia dagli eventi. Si è finto umile, semplice, generoso ed altruista. Con questo atteggiamento, apparentemente confidenziale (non era un dialogo ma un monologo), ha mistificato fatti di corruzione in riferimento all'ultimo caso Calciopoli conosciuto, affermando che certe azioni sarebbero state fatte, semplicemente, per accontentare i tifosi. Una dimostrazione di cosa intende per "generosità" Matarrese.
Un nostro portavoce ha avuto la parola per qualche attimo ed è riuscito ad esprimere qualche nostro pensiero. Sì è criticata la decisione di chiamare Antonio Matarrese a concorrere alla formazione di nuovi dirigenti sportivi, essendo lui tra i principali responsabili (come presidente della Lega Calcio) della crisi del sistema, che attraverso speculazione e repressione ha svuotato gli stadi e li ha privati dei colori. Si è ricordato ai presenti e all'opinione pubblica (c'erano anche i giornalisti) la sua recente proposta di costruire celle negli stadi. Si è criticata la decisione di costruire nuovi impianti per fini speculativi (tant'è che non saranno impianti sportivi ma polifunzionali, tutt'altra cosa), esprimendo gravi preoccupazioni per i soggetti coinvolti (a partire, proprio, dallo stesso Matarrese) che potrebbero produrre tante nuove "Punta Perotti" (l'ecomostro costruito dai Matarrese a Bari e fatto abbattere con la dinamite dallo Stato).
Un silenzio totale è sceso nell'Aula Magna e Antonio Matarrese è sbiancato. Per alcuni secondi è rimasto senza parole, spiazzato da critiche che non pensava qualcuno avrebbe avuto l'onesta di fargli. Ha cercato di mantenere la calma, continuando la farsa, ma poi per un attimo ha perso il controllo, facendo uscire allo scoperto la sua vera personalità: arrogante e supponente. Quella che lo ha portato a definire una "porcata" l'abbattimento dell'ecomostro di Punta Perotti, quell'ammasso di cemento a due passi dal mare che (chissà perché...) l'amministrazione di Bari aveva autorizzato in sfregio alle leggi dello Stato. Perché Matarrese a Bari, vale forse più dello Stato. E forse anche qui.
Nel suo nervoso s'è dimenticato di fingersi umile e in riferimento all'abbattimento di Punta Perotti ha parlato di un danno ad una "dinastia". La sua dinastia, la casa regnante, quella dei Matarrese di Bari. Perché per lui, forse, Bari non è una città della Repubblica ma un feudo della sua famiglia.
Pochi attimi e ha ripreso il controllo, cercando di fingersi amicone pure di noi ultras... Il nostro portavoce gli ha chiesto di impegnarsi, allora, per la libertà di tifo. Ovviamente è stato evasivo. Sugli striscioni ha detto che sarebbe favorevole, dipende cosa c'è scritto su. La libertà d'espressione per Matarrese va bene, purché non sia contro lui, i suoi interessi, quelli dei suoi amici e della sua "dinastia".
Fuori del convegno abbiamo distribuito (a politici, giornalisti, invitati e studenti) un nostro volantino che ha riassunto qualche nostro pensiero: "Speculazione + Repressione = Stadi vuoti e senza colore. Nuovi impianti sportivi: quante nuove Punta Perotti? Un altro concetto di sport: Matarrese vattene".
Fuori dall'aula alcuni studenti sono venuti a farci i complimenti per l'intervento e a darci la mano. Tra loro c'era anche qualche ragazzo di Bari, che sa bene cosa significa "Matarrese". Gesti spontanei e disinteressati che abbiamo apprezzato.
I giornalisti locali erano presenti ma molti hanno preferito tacere la nostra protesta, ma soprattutto: le tante verità scomode che andrebbero raccontate, da chi ha il dovere deontologico di informare. Purtroppo tanti giornalisti preferiscono fare servizi sull'ipotesi di una "merendina rubata" (molto meno rischiosa) - e magari senza neppure ascoltare chi accusano - che trattare argomenti riguardanti imperi economici che promuovono politiche in contrasto con gli interessi della collettività.
PER UN CALCIO PULITO: UN CALCIO A MATARRESE!
26 novembre 2008
“Rivogliamo i nostri striscioni”. La battaglia della curva della Sampdoria continua
Dal marzo del 2007 è vietato introdurre
drappi negli stadi senza l’autorizzazione della Questura. Una misura
contestata dal mondo delle curve perché danneggia la cultura popolare
del tifo. Domenica i gruppi della gradinata sud della Sampdoria hanno
organizzato un corteo in nome della libertà di pensiero.
.
Domenica, a Genova, la partita dei tifosi
sampdoriani è iniziata ben prima delle 15. Si sono radunati alle 12.30
davanti alla stazione di Brignole e da lì sono partiti in corteo fino
allo stadio Luigi Ferraris. C’erano tutte le componenti della tifoseria
blucerchiata: tutti i gruppi ultras della gradinata sud, Federclub,
anziani, giovani, donne e bambini. In tutto 2500 persone (300 secondo la
Questura) che, con cori, fumogeni, megafoni e striscioni hanno
attraversato le strade del capoluogo ligure per chiedere di poter
appendere il loro nome negli stadi: «Rivogliamo i nostri striscioni». Un
problema, quello del divieto di accesso negli stadi di striscioni senza
previa autorizzazione, che tocca tutti i tifosi italiani. Di qualunque
fede calcistica. Dal più sfegatato che urla in gradinata al più pacato
che segue la partita seduto nei distinti. «Questo divieto è inspiegabile
– afferma Carlo, vecchio ultras doriano – si richiede un’autorizzazione
per far entrare gli striscioni quando è sempre successo che la domenica
mattina la polizia controllava tutti gli striscioni che venivano
portati dentro lo stadio e sequestrava quelli ritenuti violenti od
offensivi». Che poi la polizia non facesse bene il suo lavoro, facendo
entrare svastiche e celtiche, è un altro discorso. I tifosi la vedono
come una limitazione del loro diritto di esprimersi, ed è anche per
questo che in mezzo al corteo di domenica capeggiavano degli stendardi
con l’articolo 21 della Costituzione italiana: «Tutti hanno diritto di
manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e
ogni altro mezzo di diffusione». L’anno scorso uno striscione con queste
parole del gruppo Ultras Tito Cucchiaroni fu bloccato all’ingresso dello stadio: non era stato chiesto il permesso.
Una limitazione assurda che, emanata dall’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive sull’onda emotiva della morte dell’ispettore Raciti, non ha altro effetto che minare la cultura popolare del tifo. Niente più tamburi, fumogeni, megafoni, striscioni, niente più coreografie se non preventivamente approvate. Tutti seduti a mangiare pop corn e vedere le ragazze pon pon che fanno i loro stacchetti, un po’ come avviene in America. E’ questo quello che temono i tifosi. Non solo gli ultras, come si cerca di far credere. «Oggi c’erano anche anziani e federclub in corteo – continua Carlo – non solo noi ultras, brutti, sporchi e cattivi. E’ un problema sentito da tutti, perché sono divieti assolutamente incomprensibili, che non mirano a limitare la violenza, obiettivo che personalmente condivido in pieno, ma a disgregare i gruppi di tifosi, annientando il loro modo di essere e il loro modo di tifare». Viene spontaneo chiedersi allora perché fare un corteo a distanza di più di un anno dall’emanazione di questa delibera del marzo 2007: «parlo a titolo personale – prosegue Carlo – ma credo che sia dovuto al fatto che pur avendo portato avanti con coerenza questa battaglia per una anno, non esponendo striscioni, rimanendo fuori dallo stadio per protesta e via dicendo, ci si è resi conto che ormai, a livello di tifoserie, si è rimasti quasi da soli a combattere questa battaglia. Per cui bisognava alzare la testa e un corteo colorato e partecipato è il modo migliore per farlo».
Sul rifiuto delle più anti-democratiche tra le norme anti-violenza, il fronte delle tifoserie italiane ha ceduto già da tempo. Si contano sulle dita di una mano quelle che si ostinano a non portare all’interno degli stadi i loro striscioni. Quasi tutte sono scese a compromessi con l’Osservatorio, presentando regolari richieste d’autorizzazione per far entrare i loro drappi. Da Firenze a Milano, da Torino a Roma, sono sempre di più gli striscioni che vengono esposti col nullaosta della Questura. Ogni striscione che viene appeso è un colpo alla battaglia, non solo ideologica, che altre tifoserie stanno portando avanti contro queste norme. Purtroppo riuscire ad arrivare ad un’unità di intenti tra le varie curve italiane è difficilissimo, troppe le differenze, troppa la politica che serpeggia sugli spalti, troppi di conseguenza gli interessi che vi sono dietro. Il rischio concreto è che chi si oppone rimanga sempre più isolato e che, per non rischiare di sparire, si debba accodare e cedere come gli altri. Ieri il ministro dell’interno Maroni ha ribadito che tutte le norme del pacchetto anti-violenza (dal divieto di trasferta a quello sugli striscioni) «continueranno fino al termine del campionato: sono severe ma funzionano, perché tornare indietro?». Chi ama il calcio e il tifo rumoroso, colorato e goliardico, può solo augurarsi che baluardi di resistenza come gli ultras doriani ma anche quelli di Lecce, Reggio Calabria, Bergamo e Parma, non si arrendano a chi li vuole muti e sprofondati in poltrona davanti alla pay-tv.
Una limitazione assurda che, emanata dall’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive sull’onda emotiva della morte dell’ispettore Raciti, non ha altro effetto che minare la cultura popolare del tifo. Niente più tamburi, fumogeni, megafoni, striscioni, niente più coreografie se non preventivamente approvate. Tutti seduti a mangiare pop corn e vedere le ragazze pon pon che fanno i loro stacchetti, un po’ come avviene in America. E’ questo quello che temono i tifosi. Non solo gli ultras, come si cerca di far credere. «Oggi c’erano anche anziani e federclub in corteo – continua Carlo – non solo noi ultras, brutti, sporchi e cattivi. E’ un problema sentito da tutti, perché sono divieti assolutamente incomprensibili, che non mirano a limitare la violenza, obiettivo che personalmente condivido in pieno, ma a disgregare i gruppi di tifosi, annientando il loro modo di essere e il loro modo di tifare». Viene spontaneo chiedersi allora perché fare un corteo a distanza di più di un anno dall’emanazione di questa delibera del marzo 2007: «parlo a titolo personale – prosegue Carlo – ma credo che sia dovuto al fatto che pur avendo portato avanti con coerenza questa battaglia per una anno, non esponendo striscioni, rimanendo fuori dallo stadio per protesta e via dicendo, ci si è resi conto che ormai, a livello di tifoserie, si è rimasti quasi da soli a combattere questa battaglia. Per cui bisognava alzare la testa e un corteo colorato e partecipato è il modo migliore per farlo».
Sul rifiuto delle più anti-democratiche tra le norme anti-violenza, il fronte delle tifoserie italiane ha ceduto già da tempo. Si contano sulle dita di una mano quelle che si ostinano a non portare all’interno degli stadi i loro striscioni. Quasi tutte sono scese a compromessi con l’Osservatorio, presentando regolari richieste d’autorizzazione per far entrare i loro drappi. Da Firenze a Milano, da Torino a Roma, sono sempre di più gli striscioni che vengono esposti col nullaosta della Questura. Ogni striscione che viene appeso è un colpo alla battaglia, non solo ideologica, che altre tifoserie stanno portando avanti contro queste norme. Purtroppo riuscire ad arrivare ad un’unità di intenti tra le varie curve italiane è difficilissimo, troppe le differenze, troppa la politica che serpeggia sugli spalti, troppi di conseguenza gli interessi che vi sono dietro. Il rischio concreto è che chi si oppone rimanga sempre più isolato e che, per non rischiare di sparire, si debba accodare e cedere come gli altri. Ieri il ministro dell’interno Maroni ha ribadito che tutte le norme del pacchetto anti-violenza (dal divieto di trasferta a quello sugli striscioni) «continueranno fino al termine del campionato: sono severe ma funzionano, perché tornare indietro?». Chi ama il calcio e il tifo rumoroso, colorato e goliardico, può solo augurarsi che baluardi di resistenza come gli ultras doriani ma anche quelli di Lecce, Reggio Calabria, Bergamo e Parma, non si arrendano a chi li vuole muti e sprofondati in poltrona davanti alla pay-tv.
25 novembre 2008
Una manifestazione compatta alla ricerca di tempi e valori perduti.
Qualcuno vorrebbe ancora liberarsi del “problema striscioni” definendolo
un falso problema: quasi che quel falso problema fosse la proiezione di
una speranza, la personificazione di un moto collettivo, destinato a
sopravvivere in quella speranza ed in quel sogno. Ma a chi tenta questa
operazione di rimozione poco importa sognare: ciò che urge è poter
utilizzare una definizione limitativa per affermare in realtà che il
“problema striscioni” è dissolto e che le tifoserie di oggi non hanno
alcun problema a chiedere la maledetta autorizzazione…
Quindi anche il nostro sogno, per loro e per tutti, non è mai esistito e non potrà mai essere motivo di rivoluzione nelle tifoserie di tutta Italia. Altri, che appartengono ad un genere di persone poco dotate di fantasia e quindi incapaci di tollerare il dolore di una sconfitta, rovesciano sulla manifestazione della Tifoseria Sampdoriana di ieri la loro frustrazione: “poche centinaia che non avevano meglio da fare, con i problemi che attanagliano l’Italia di oggi…“. Altri ancora considerano il problema semplicemente strumentale e come tale lo squalificano invece di apprezzare il coraggio di 2.500 persone ancora innamorate semplicemente dei propri colori…
Non c’erano solo temibili Ultras, ma semplici Sampdoriani, famiglie con i loro bambini, anziani che ancora oggi si chiedono come mai non possono vedere esposti i vessilli che hanno visto per una vita. E, attenzione, le varie categorie di persone presenti al corteo organizzato dai Gruppi della Gradinata Sud perseguono scopi paralleli, ma anche divergenti: obiettivo dei Gruppi è cambiare totalmente i rapporti tra il modo di vedere oggi il Tifo ed una realtà dominata esclusivamente da imperativi economici, mentre lo scopo del semplice tifoso è legato ad un progetto più terra terra, rivedere i propri colori… Per i Gruppi la misura sta nel cambiamento delle coscienze di tutte le tifoserie, per il semplice tifoso sta invece nel ritorno ad una normalità che non è mai stata poi così terribile, come hanno voluto in troppi farci credere…
La manifestazione che da Piazza Verdi ha portato il corteo a snodarsi fino a Via del Piano è stata solo una presa di contatto personale di uomini e donne con una comunanza di spirito, non certo una pericolosa sedizione per fomentare focolai di rivolta o per organizzare forme di lotta armata. La battaglia per gli striscioni nasce dall’essere Ultras ma alla lunga è destinata ad arrivare ad un momento in cui si dovrà scegliere se fare leva sulla coscienza o sui compromessi. In origine, potevano anche non essere linee in contrasto fra loro, ma in prospettiva diventano concorrenti. E, quando arriverà il momento di decidere, non si potrà certo solo ottenere che la decisione possa essere lasciata solo ai fatti.
I fatti che stanno dando torto a chi sta facendo una repressione che è tutt’altro che casuale… Rimarrà, comunque, agli atti un’eccezionale presenza alla manifestazione organizzata dai Gruppi della Sud, una presenza di uomini e donne al travaglio di un’epoca in cui la libertà di manifestare il proprio pensiero trova conforto nell’opportunità di contribuire ad una grande riforma della coscienza di cui, ormai, siamo, nel bene e nel male, unici portatori.
Il merito grande della Tifoseria Sampdoriana è stato quello di capire ed interpretare fino in fondo il rischio di vedere dispersi i valori di una cultura popolare nell’applicazione burocratica di leggi che altro non sono che un orrendo capestro.
Nell’ingenuo entusiasmo che traspariva domenica nei volti di giovani, vecchi e bambini in quell’urlo verso il cielo “Rivogliamo i nostri striscioni!” è stata impresa vana cercare di individuare secondi fini, perché ciò che si poteva percepire era solo una necessità di trasformazione, non guidata da forze cieche, ma una trasformazione per rapportarsi alla realtà in modo diverso da quello appreso acriticamente fino a questo punto di questa storia.
Perché ci troviamo a combattere con un mondo che determina tutta una serie di pregiudizi che rimangono al livello inconscio e si riflettono di conseguenza nell’atteggiamento di ognuno, ma noi semplicemente “Rivogliamo i nostri striscioni”, senza distruggere i divieti con la forza perché ciò distruggerebbe ogni libero sviluppo dell’intelligenza…
Perché questo è il succo del corteo di domenica: niente etichette, ma ragionamento, per riottenere una libertà che costituzionalmente dovrebbe, invece, essere garantita a qualsiasi tifoseria, non solo Sampdoriana. Soli, oramai? Forse, ma apripista di un ritorno alla normalità.
Solo una speranza, forse, ma un sogno, senza dubbio: Rivogliamo i Nostri Striscioni!
Fonte: Goal.com
Quindi anche il nostro sogno, per loro e per tutti, non è mai esistito e non potrà mai essere motivo di rivoluzione nelle tifoserie di tutta Italia. Altri, che appartengono ad un genere di persone poco dotate di fantasia e quindi incapaci di tollerare il dolore di una sconfitta, rovesciano sulla manifestazione della Tifoseria Sampdoriana di ieri la loro frustrazione: “poche centinaia che non avevano meglio da fare, con i problemi che attanagliano l’Italia di oggi…“. Altri ancora considerano il problema semplicemente strumentale e come tale lo squalificano invece di apprezzare il coraggio di 2.500 persone ancora innamorate semplicemente dei propri colori…
Non c’erano solo temibili Ultras, ma semplici Sampdoriani, famiglie con i loro bambini, anziani che ancora oggi si chiedono come mai non possono vedere esposti i vessilli che hanno visto per una vita. E, attenzione, le varie categorie di persone presenti al corteo organizzato dai Gruppi della Gradinata Sud perseguono scopi paralleli, ma anche divergenti: obiettivo dei Gruppi è cambiare totalmente i rapporti tra il modo di vedere oggi il Tifo ed una realtà dominata esclusivamente da imperativi economici, mentre lo scopo del semplice tifoso è legato ad un progetto più terra terra, rivedere i propri colori… Per i Gruppi la misura sta nel cambiamento delle coscienze di tutte le tifoserie, per il semplice tifoso sta invece nel ritorno ad una normalità che non è mai stata poi così terribile, come hanno voluto in troppi farci credere…
La manifestazione che da Piazza Verdi ha portato il corteo a snodarsi fino a Via del Piano è stata solo una presa di contatto personale di uomini e donne con una comunanza di spirito, non certo una pericolosa sedizione per fomentare focolai di rivolta o per organizzare forme di lotta armata. La battaglia per gli striscioni nasce dall’essere Ultras ma alla lunga è destinata ad arrivare ad un momento in cui si dovrà scegliere se fare leva sulla coscienza o sui compromessi. In origine, potevano anche non essere linee in contrasto fra loro, ma in prospettiva diventano concorrenti. E, quando arriverà il momento di decidere, non si potrà certo solo ottenere che la decisione possa essere lasciata solo ai fatti.
I fatti che stanno dando torto a chi sta facendo una repressione che è tutt’altro che casuale… Rimarrà, comunque, agli atti un’eccezionale presenza alla manifestazione organizzata dai Gruppi della Sud, una presenza di uomini e donne al travaglio di un’epoca in cui la libertà di manifestare il proprio pensiero trova conforto nell’opportunità di contribuire ad una grande riforma della coscienza di cui, ormai, siamo, nel bene e nel male, unici portatori.
Il merito grande della Tifoseria Sampdoriana è stato quello di capire ed interpretare fino in fondo il rischio di vedere dispersi i valori di una cultura popolare nell’applicazione burocratica di leggi che altro non sono che un orrendo capestro.
Nell’ingenuo entusiasmo che traspariva domenica nei volti di giovani, vecchi e bambini in quell’urlo verso il cielo “Rivogliamo i nostri striscioni!” è stata impresa vana cercare di individuare secondi fini, perché ciò che si poteva percepire era solo una necessità di trasformazione, non guidata da forze cieche, ma una trasformazione per rapportarsi alla realtà in modo diverso da quello appreso acriticamente fino a questo punto di questa storia.
Perché ci troviamo a combattere con un mondo che determina tutta una serie di pregiudizi che rimangono al livello inconscio e si riflettono di conseguenza nell’atteggiamento di ognuno, ma noi semplicemente “Rivogliamo i nostri striscioni”, senza distruggere i divieti con la forza perché ciò distruggerebbe ogni libero sviluppo dell’intelligenza…
Perché questo è il succo del corteo di domenica: niente etichette, ma ragionamento, per riottenere una libertà che costituzionalmente dovrebbe, invece, essere garantita a qualsiasi tifoseria, non solo Sampdoriana. Soli, oramai? Forse, ma apripista di un ritorno alla normalità.
Solo una speranza, forse, ma un sogno, senza dubbio: Rivogliamo i Nostri Striscioni!
Fonte: Goal.com
Il difensore della curva
A colloquio con Lorenzo Contucci, avvocato penalista, esperto della
normativa applicata al mondo degli ultras
Avvocato penalista, romano e romanista, Lorenzo Contucci è sicuramente uno dei massimi esperti della normativa applicata alla questione ultras. E grazie al suo lavoro quotidiano, può avere un punto di vista molto chiaro sulle falle del sistema, su cosa andrebbe cambiato e su quello che succede nelle curve italiane e nelle aule di tribunale. Proprio per questo abbiamo voluto intervistarlo, spaziando dalla situazione legislativa odierna, alla farsa mediatica di Roma-Napoli o alle foto “taroccate” di Bulgaria-Italia.
D. Qual è la situazione odierna della legislazione italiana contro il mondo ultras?
R. È una legislazione definita di prevenzione, ma che in realtà è di repressione. Lo strumento utilizzato è il famoso D.a.spo. (Divieto di accedere alle manifestazioni sportive, ovvero la “diffida” ndr) la cui durata è oggi passata da uno a cinque anni. Nel 90% dei casi ha l’obbligo
di presentazione alla P.G. L’anomalia è che viene applicato direttamente dal Questore, mentre altre misure di prevenzione di una certa gravità vengono proposte dal Questore e applicate da un giudice. Nel nostro caso l’intervento del giudice – spesso sommario e senza garanzie difensive – esiste solo per l’obbligo di presentazione, ma non per il divieto in sé stesso. In Inghilterra non è così: la polizia propone, il giudice decide. Senza contare che il D.as.po.
si basa il più delle volte su una semplice denuncia che altrettanto spesso finisce in un’archiviazione o in un’assoluzione, naturalmente a provvedimento scontato. Da vero e proprio stato di polizia, invece, è quella parte della legge Amato che consente di diffidare anche senza che vi sia una denuncia: il paradosso è che un soggetto denunciato può sperare nella revoca del d.a.spo. – perché ad esempio viene poi assolto nel procedimento penale – mentre un soggetto non denunciato, ma diffidato non può fare proprio nulla perché non potrà mai ottenere un’archiviazione o un’assoluzione.
D. A cosa ha portato la politica dei divieti e della disgregazione dei gruppi organizzati?
R. Ha portato alla pressoché totale perdita di colori negli stadi e una conseguente perdita di fascino delle partite stesse. I giornali per presentare il derby di Roma continuano a tirare fuori foto di archivio e dimenticano che tutto quel colore che c’era è oggi reato. In più si sono create delle frange anarchiche nel senso non politico del termine, assai pericolose perché premeditano gli scontri.
D. Quando è iniziato il “pugno di ferro” in Italia contro le curve?
R. Poiché la polizia è il braccio operativo del ministero dell’Interno, e quindi del governo, da quando lo Stato ha deciso che alcuni episodi di violenza non potevano più essere tollerati, anche in quanto amplificati dai media e recepiti in tal modo dall’opinione pubblica, con conseguenti riflessi sui governi stessi. Dietro lo slogan del “riportiamo le famiglie
allo stadio”, ampiamente fallito come possiamo vedere con i nostri stadi vuoti, si è semplicemente favorito ulteriormente il mondo delle pay per view, primo canale di introiti per le squadre di calcio, almeno in serie A.
D. Che cos’è esattamente il D.as.po.? È un provvedimento anticostituzionale?
R. È l’ordine con il quale il questore vieta a un soggetto ritenuto pericoloso di andare allo stadio, per un periodo che può andare da uno a cinque anni. Ha quasi sempre abbinato l’obbligo di presentazione alla P.G. per le partite, in casa e in trasferta, della squadra del cuore. La Corte
Costituzionale è più volte intervenuta e il fatto che la legge venga continuamente modificata sull’onda emotiva di fatti di cronaca non potrà impedire che ci si torni di nuovo. Allo stato la Corte Costituzionale ha offerto spunti interpretativi della legge dicendo come i giudici dovevano interpretarla perché non fosse dichiarata incostituzionale. C’è anche da dire che le prime pronunce sono del 1996, quando questi provvedimenti erano annuali e quindi comprimevano in modo limitato la libertà personale. Ora che sono quinquennali è auspicabile un nuovo intervento della Corte, per garantire un diritto di difesa pieno.
D. Come ci si difende da un D.as.po.?
R. È assai difficile. Quando vi è l’obbligo di presentazione, si hanno 48 ore di tempo per difendersi davanti al giudice che lo deve convalidare, ma non vi è una udienza. Si può depositare una memoria difensiva. I tempi assai ristretti spesso vanificano tale possibilità ed è quasi impossibile portare prove a discarico. Dopo la convalida da parte del Gip, si hanno
solo 15 giorni di tempo per andare in Cassazione e solo con un avvocato cassazionista. Contro il divieto di andare allo stadio, invece, si può ricorrere al prefetto, cosa quasi sempre inutile perché gerarchicamente è il superiore del questore, ovvero andare al T.a.r.. Il problema sono le
spese legali da sostenere e il fatto che – basandosi il D.as.po. su una denuncia – per aspettare di avere ragione bisogna attendere che parallelamente il procedimento penale faccia il suo corso, con i tempi biblici che sappiamo.
D. Quali sono le strutture dello stato che dovrebbero controllare i tifosi?
Da chi sono composte? Sono efficaci?
R. Presso le questure vi sono le squadre tifoserie della D.i.g.o.s., che ben conoscono le realtà del tifo organizzato. Di certo con la disgregazione dei gruppi operata dall’operazione repressiva il loro compito si è fatto più difficile per la mancanza di referenti. Poi abbiamo l’osservatorio
nazionale sulle manifestazioni sportive, che ho sempre definito – insieme con il Casm (Comitato di analisi per la sicurezza delle manifestazioni sportive ndr) – organismi inutili e da stato di polizia che contribuiscono a distruggere il tifoso da stadio e non solo i tifosi violenti. Il criterio con cui operano è analogo al concetto del buttare via il bambino con l’acqua sporca.
D. Esiste un modo per arrivare al dialogo tra i tifosi e lo stato?
R. La parola “tifosi” comprende più realtà. Per me il tifoso deve fare il tifoso e lo Stato deve fare lo Stato. Essere tifoso non dovrebbe essere una professione e quindi non ho necessità di dialogare con nessuno: vado allo stadio e mi vedo la partita.
D. Le curve sono ancora oggi il più grande movimento giovanile?
R. In parte sì. Quando lo Stato se ne è reso conto ha deciso di ammaestrarle e chi non si fa ammaestrare viene soppresso.
D. Pensi che gli ultras facciano paura per la capacità ancora oggi di aggregare?
R. Assolutamente sì. Chi ci governa non ha capito – e se lo ha capito lo ha fatto tardi – che le politiche attuate hanno radicalizzato alcune frange.
D. Quanto ha influenzato il Legislatore l’onda emotiva della morte di Raciti?
R. Moltissimo. Ancorché quella situazione sia dipesa, anche – e sottolineo anche – da una non corretta gestione dell’ordine pubblico (mi riferisco alla decisione folle di far arrivare i tifosi del Palermo a partita iniziata e non molto tempo prima), era assolutamente ovvio che un fatto
così grave influenzasse il Legislatore. È anche giusto che sia così, sebbene i veri correttivi da apportare non fossero certamente quelli poi adottati populisticamente. In quella occasione per lo meno il fatto era storicamente avvenuto e di assoluta gravità. Tuttavia il Legislatore si muove spesso prescindendo da una reale emergenza, ma sulla mera percezione di essa da parte
dell’opinione pubblica.
D. Ci puoi raccontare com’è stato montato ad arte dai media il caso Roma-Napoli?
R. Tutto è partito da una notizia falsa nata da un comunicato di Trenitalia, recepito dai media nazionali – tv, quotidiani cartacei e on line – come devastazione e sopruso. Televisivamente, sono state mostrate – sapientemente tagliate e montate – fotografie di un paio di vetri rotti
mostrati da tutte le angolazioni e i napoletani che correvano alla stazione Termini sono stati presentati come facinorosi che creavano disordini, sottacendo che stavano semplicemente correndo verso i pullman perché era già finito il primo tempo. Basta andare su Youtube per verificare come il loro comportamento sia stato senz’altro folkloristico e agitato, ma certamente non violento. Eppure è passata la notizia di stazioni e treni devastati. Per fortuna su quel treno c’erano due giornalisti austriaci che, allibiti, hanno raccontato come nulla di quello che era stato detto sui media fosse vero. Solo pochi giornalisti illuminati – come nel caso del servizio d’inchiesta di Rai News 24 – hanno dato notizia della bufala mediatica. Ovviamente dopo che il giudice sportivo aveva chiuso entrambe le curva del San Paolo e che il Ministro Maroni aveva proibito ai tifosi del Napoli tutte le trasferte, proprio nell’occasione in cui – sono parole di un giudice – avevano fatto tutto il possibile per evitare problemi. Una
disorganizzazione totale dell’evento è stata attribuita, con la solita complicità dei media, ai tifosi per coprire le responsabilità di chi gestisce l’ordine pubblico, con tanto di servizi segreti al suo interno. In un Paese che ancora non ha fatto chiarezza su Ustica, Bologna e tante
stragi impunite non mi stupisco più di nulla e sono sempre più motivato nel non votare più.
D. Cosa è successo veramente quel giorno a Roma?
R. Ho già risposto. Mi limito ad aggiungere che uno dei più seri quotidiani italiani, il Corriere della Sera, per ben due volte ha inserito delle fotografie con la didascalia “i tifosi del Napoli durante gli scontri di Roma” riferite a episodi di diversi anni fa. Mi è bastato navigare per
cinque minuti su internet per mostrare la falsità della rappresentazione. Questo comportamento non è solo deontologicamente scorretto. È ben di più, visto che influenza l’opinione pubblica e, di conseguenza, il Legislatore.
D. Sappiamo che hai difeso alcuni ultras napoletani e che sei stato criticato da alcuni quotidiani. Cosa ne pensi?
R. Ho già detto cosa penso di alcuni giornalisti che lavorano per alcuni quotidiani. Si spacciano per democratici quando uno stato totalitario rappresenterebbe, per loro, il luogo naturale di espressione. Il tifoso delinque lanciando un sasso o in molti altri modi, il giornalista delinque
dicendo menzogne basate su fatti falsi. Questo, per il sottoscritto è un comportamento criminale assai più grave del ragazzino che lancia un sasso, se non altro perché i quotidiani sono sovvenzionati anche dallo Stato: il ragazzino che lancia un sasso no.
D. E della questione Bulgaria-Italia cosa ne pensi? Anche lì gli scontri e i famigerati saluti romani sono stati una montatura. Erano tutti da parte bulgara….
R. Sono rimasto allibito. Non si tratta di essere di una idea politica o di un’altra. Si tratta di distinguere il falso dal vero. La quasi totalità dei giornali, approfittando dell’identità dei colori nazionali, hanno spacciato i tifosi bulgari pieni di svastiche per quelli italiani, che certo di
sinistra non erano ma che hanno tenuto comportamenti assai meno esibizionistici. Poiché l’onda emotiva del momento è la questione fascismo/antifascismo, il meccanismo tritatutto dell’informazione di regime ha, in modo criminale, trattato la notizia. Mi ripeto: un giudice delinque se si vende una sentenza, un avvocato se tradisce il proprio cliente e un giornalista se dice falsità.
D. Esiste un’informazione libera e corretta in Italia?
R. Solo su internet e da parte di pochi giornalisti coraggiosi, per i quali ho la massima stima. Purtroppo temo non faranno carriera, per lo meno in Italia. Se i giornali sono il cane da guardia della democrazia – come ha scritto la Corte di Cassazione – internet è il leone da guardia della
democrazia stessa. È per questo che ci sono progetti di legge per limitarne la capacità di espressione.
di Tommaso Della Longa per il mensile “La Voce del Ribelle”
normativa applicata al mondo degli ultras
Avvocato penalista, romano e romanista, Lorenzo Contucci è sicuramente uno dei massimi esperti della normativa applicata alla questione ultras. E grazie al suo lavoro quotidiano, può avere un punto di vista molto chiaro sulle falle del sistema, su cosa andrebbe cambiato e su quello che succede nelle curve italiane e nelle aule di tribunale. Proprio per questo abbiamo voluto intervistarlo, spaziando dalla situazione legislativa odierna, alla farsa mediatica di Roma-Napoli o alle foto “taroccate” di Bulgaria-Italia.
D. Qual è la situazione odierna della legislazione italiana contro il mondo ultras?
R. È una legislazione definita di prevenzione, ma che in realtà è di repressione. Lo strumento utilizzato è il famoso D.a.spo. (Divieto di accedere alle manifestazioni sportive, ovvero la “diffida” ndr) la cui durata è oggi passata da uno a cinque anni. Nel 90% dei casi ha l’obbligo
di presentazione alla P.G. L’anomalia è che viene applicato direttamente dal Questore, mentre altre misure di prevenzione di una certa gravità vengono proposte dal Questore e applicate da un giudice. Nel nostro caso l’intervento del giudice – spesso sommario e senza garanzie difensive – esiste solo per l’obbligo di presentazione, ma non per il divieto in sé stesso. In Inghilterra non è così: la polizia propone, il giudice decide. Senza contare che il D.as.po.
si basa il più delle volte su una semplice denuncia che altrettanto spesso finisce in un’archiviazione o in un’assoluzione, naturalmente a provvedimento scontato. Da vero e proprio stato di polizia, invece, è quella parte della legge Amato che consente di diffidare anche senza che vi sia una denuncia: il paradosso è che un soggetto denunciato può sperare nella revoca del d.a.spo. – perché ad esempio viene poi assolto nel procedimento penale – mentre un soggetto non denunciato, ma diffidato non può fare proprio nulla perché non potrà mai ottenere un’archiviazione o un’assoluzione.
D. A cosa ha portato la politica dei divieti e della disgregazione dei gruppi organizzati?
R. Ha portato alla pressoché totale perdita di colori negli stadi e una conseguente perdita di fascino delle partite stesse. I giornali per presentare il derby di Roma continuano a tirare fuori foto di archivio e dimenticano che tutto quel colore che c’era è oggi reato. In più si sono create delle frange anarchiche nel senso non politico del termine, assai pericolose perché premeditano gli scontri.
D. Quando è iniziato il “pugno di ferro” in Italia contro le curve?
R. Poiché la polizia è il braccio operativo del ministero dell’Interno, e quindi del governo, da quando lo Stato ha deciso che alcuni episodi di violenza non potevano più essere tollerati, anche in quanto amplificati dai media e recepiti in tal modo dall’opinione pubblica, con conseguenti riflessi sui governi stessi. Dietro lo slogan del “riportiamo le famiglie
allo stadio”, ampiamente fallito come possiamo vedere con i nostri stadi vuoti, si è semplicemente favorito ulteriormente il mondo delle pay per view, primo canale di introiti per le squadre di calcio, almeno in serie A.
D. Che cos’è esattamente il D.as.po.? È un provvedimento anticostituzionale?
R. È l’ordine con il quale il questore vieta a un soggetto ritenuto pericoloso di andare allo stadio, per un periodo che può andare da uno a cinque anni. Ha quasi sempre abbinato l’obbligo di presentazione alla P.G. per le partite, in casa e in trasferta, della squadra del cuore. La Corte
Costituzionale è più volte intervenuta e il fatto che la legge venga continuamente modificata sull’onda emotiva di fatti di cronaca non potrà impedire che ci si torni di nuovo. Allo stato la Corte Costituzionale ha offerto spunti interpretativi della legge dicendo come i giudici dovevano interpretarla perché non fosse dichiarata incostituzionale. C’è anche da dire che le prime pronunce sono del 1996, quando questi provvedimenti erano annuali e quindi comprimevano in modo limitato la libertà personale. Ora che sono quinquennali è auspicabile un nuovo intervento della Corte, per garantire un diritto di difesa pieno.
D. Come ci si difende da un D.as.po.?
R. È assai difficile. Quando vi è l’obbligo di presentazione, si hanno 48 ore di tempo per difendersi davanti al giudice che lo deve convalidare, ma non vi è una udienza. Si può depositare una memoria difensiva. I tempi assai ristretti spesso vanificano tale possibilità ed è quasi impossibile portare prove a discarico. Dopo la convalida da parte del Gip, si hanno
solo 15 giorni di tempo per andare in Cassazione e solo con un avvocato cassazionista. Contro il divieto di andare allo stadio, invece, si può ricorrere al prefetto, cosa quasi sempre inutile perché gerarchicamente è il superiore del questore, ovvero andare al T.a.r.. Il problema sono le
spese legali da sostenere e il fatto che – basandosi il D.as.po. su una denuncia – per aspettare di avere ragione bisogna attendere che parallelamente il procedimento penale faccia il suo corso, con i tempi biblici che sappiamo.
D. Quali sono le strutture dello stato che dovrebbero controllare i tifosi?
Da chi sono composte? Sono efficaci?
R. Presso le questure vi sono le squadre tifoserie della D.i.g.o.s., che ben conoscono le realtà del tifo organizzato. Di certo con la disgregazione dei gruppi operata dall’operazione repressiva il loro compito si è fatto più difficile per la mancanza di referenti. Poi abbiamo l’osservatorio
nazionale sulle manifestazioni sportive, che ho sempre definito – insieme con il Casm (Comitato di analisi per la sicurezza delle manifestazioni sportive ndr) – organismi inutili e da stato di polizia che contribuiscono a distruggere il tifoso da stadio e non solo i tifosi violenti. Il criterio con cui operano è analogo al concetto del buttare via il bambino con l’acqua sporca.
D. Esiste un modo per arrivare al dialogo tra i tifosi e lo stato?
R. La parola “tifosi” comprende più realtà. Per me il tifoso deve fare il tifoso e lo Stato deve fare lo Stato. Essere tifoso non dovrebbe essere una professione e quindi non ho necessità di dialogare con nessuno: vado allo stadio e mi vedo la partita.
D. Le curve sono ancora oggi il più grande movimento giovanile?
R. In parte sì. Quando lo Stato se ne è reso conto ha deciso di ammaestrarle e chi non si fa ammaestrare viene soppresso.
D. Pensi che gli ultras facciano paura per la capacità ancora oggi di aggregare?
R. Assolutamente sì. Chi ci governa non ha capito – e se lo ha capito lo ha fatto tardi – che le politiche attuate hanno radicalizzato alcune frange.
D. Quanto ha influenzato il Legislatore l’onda emotiva della morte di Raciti?
R. Moltissimo. Ancorché quella situazione sia dipesa, anche – e sottolineo anche – da una non corretta gestione dell’ordine pubblico (mi riferisco alla decisione folle di far arrivare i tifosi del Palermo a partita iniziata e non molto tempo prima), era assolutamente ovvio che un fatto
così grave influenzasse il Legislatore. È anche giusto che sia così, sebbene i veri correttivi da apportare non fossero certamente quelli poi adottati populisticamente. In quella occasione per lo meno il fatto era storicamente avvenuto e di assoluta gravità. Tuttavia il Legislatore si muove spesso prescindendo da una reale emergenza, ma sulla mera percezione di essa da parte
dell’opinione pubblica.
D. Ci puoi raccontare com’è stato montato ad arte dai media il caso Roma-Napoli?
R. Tutto è partito da una notizia falsa nata da un comunicato di Trenitalia, recepito dai media nazionali – tv, quotidiani cartacei e on line – come devastazione e sopruso. Televisivamente, sono state mostrate – sapientemente tagliate e montate – fotografie di un paio di vetri rotti
mostrati da tutte le angolazioni e i napoletani che correvano alla stazione Termini sono stati presentati come facinorosi che creavano disordini, sottacendo che stavano semplicemente correndo verso i pullman perché era già finito il primo tempo. Basta andare su Youtube per verificare come il loro comportamento sia stato senz’altro folkloristico e agitato, ma certamente non violento. Eppure è passata la notizia di stazioni e treni devastati. Per fortuna su quel treno c’erano due giornalisti austriaci che, allibiti, hanno raccontato come nulla di quello che era stato detto sui media fosse vero. Solo pochi giornalisti illuminati – come nel caso del servizio d’inchiesta di Rai News 24 – hanno dato notizia della bufala mediatica. Ovviamente dopo che il giudice sportivo aveva chiuso entrambe le curva del San Paolo e che il Ministro Maroni aveva proibito ai tifosi del Napoli tutte le trasferte, proprio nell’occasione in cui – sono parole di un giudice – avevano fatto tutto il possibile per evitare problemi. Una
disorganizzazione totale dell’evento è stata attribuita, con la solita complicità dei media, ai tifosi per coprire le responsabilità di chi gestisce l’ordine pubblico, con tanto di servizi segreti al suo interno. In un Paese che ancora non ha fatto chiarezza su Ustica, Bologna e tante
stragi impunite non mi stupisco più di nulla e sono sempre più motivato nel non votare più.
D. Cosa è successo veramente quel giorno a Roma?
R. Ho già risposto. Mi limito ad aggiungere che uno dei più seri quotidiani italiani, il Corriere della Sera, per ben due volte ha inserito delle fotografie con la didascalia “i tifosi del Napoli durante gli scontri di Roma” riferite a episodi di diversi anni fa. Mi è bastato navigare per
cinque minuti su internet per mostrare la falsità della rappresentazione. Questo comportamento non è solo deontologicamente scorretto. È ben di più, visto che influenza l’opinione pubblica e, di conseguenza, il Legislatore.
D. Sappiamo che hai difeso alcuni ultras napoletani e che sei stato criticato da alcuni quotidiani. Cosa ne pensi?
R. Ho già detto cosa penso di alcuni giornalisti che lavorano per alcuni quotidiani. Si spacciano per democratici quando uno stato totalitario rappresenterebbe, per loro, il luogo naturale di espressione. Il tifoso delinque lanciando un sasso o in molti altri modi, il giornalista delinque
dicendo menzogne basate su fatti falsi. Questo, per il sottoscritto è un comportamento criminale assai più grave del ragazzino che lancia un sasso, se non altro perché i quotidiani sono sovvenzionati anche dallo Stato: il ragazzino che lancia un sasso no.
D. E della questione Bulgaria-Italia cosa ne pensi? Anche lì gli scontri e i famigerati saluti romani sono stati una montatura. Erano tutti da parte bulgara….
R. Sono rimasto allibito. Non si tratta di essere di una idea politica o di un’altra. Si tratta di distinguere il falso dal vero. La quasi totalità dei giornali, approfittando dell’identità dei colori nazionali, hanno spacciato i tifosi bulgari pieni di svastiche per quelli italiani, che certo di
sinistra non erano ma che hanno tenuto comportamenti assai meno esibizionistici. Poiché l’onda emotiva del momento è la questione fascismo/antifascismo, il meccanismo tritatutto dell’informazione di regime ha, in modo criminale, trattato la notizia. Mi ripeto: un giudice delinque se si vende una sentenza, un avvocato se tradisce il proprio cliente e un giornalista se dice falsità.
D. Esiste un’informazione libera e corretta in Italia?
R. Solo su internet e da parte di pochi giornalisti coraggiosi, per i quali ho la massima stima. Purtroppo temo non faranno carriera, per lo meno in Italia. Se i giornali sono il cane da guardia della democrazia – come ha scritto la Corte di Cassazione – internet è il leone da guardia della
democrazia stessa. È per questo che ci sono progetti di legge per limitarne la capacità di espressione.
di Tommaso Della Longa per il mensile “La Voce del Ribelle”
RIVOGLIAMO I NOSTRI STRISCIONI
E tutte le componenti della tifoseria sampdoriana hanno partecipato al
corteo “Rivogliamo i nostri striscioni”, organizzato dai gruppi della
Gradinata Sud. Il raduno era fissato alle 12 nei giardini davanti alla
stazione di Genova Brignole. Da lì i sostenitori si sono mossi in
direzione del Ferraris, accompagnati da cori e appunto da tutti gli
striscioni dei gruppi e dei club che sono soggetti alla richiesta
d’autorizzazione per essere esposti allo stadio. Una regola alla quale
la tifoseria blucerchiata si rifiuta di sottostare.
Secondo fonti della polizia Municipale, le persone che hanno partecipato alla manifestazione erano «circa 300», ma hanno creato pesanti ripercussioni al traffico nel centro; intorno alle 12.30, il passaggio del corte ha costretto i vigili ha chiudere in entrambi i sensi di marcia il tunnel che collega la zona di Brignole con quella di Borgo Incrociati.
La Federazione dei Club Blucerchiati, con un comunicato, ha fatto sapere: "Parteciperemo compatti, con gli striscioni dei nostri Clubs. Rivendichiamo il diritto di esporli all’interno degli stadi e riteniamo ingiusta la “richiesta di autorizzazione all’esposizione”, atteso che quella della libertà di espressione è un diritto costituzionalmente garantito. La Federazione dei Clubs Blucerchiati, nata nel 1966, è stata la prima Associazione di tifosi organizzati nata in Italia ed ha sempre avuto nel suo Dna la sana passione sportiva e l’orgoglio di portare, negli stadi italiani ed esteri, gli striscioni sampdoriani".
da tuttomercatoweb.com
Secondo fonti della polizia Municipale, le persone che hanno partecipato alla manifestazione erano «circa 300», ma hanno creato pesanti ripercussioni al traffico nel centro; intorno alle 12.30, il passaggio del corte ha costretto i vigili ha chiudere in entrambi i sensi di marcia il tunnel che collega la zona di Brignole con quella di Borgo Incrociati.
La Federazione dei Club Blucerchiati, con un comunicato, ha fatto sapere: "Parteciperemo compatti, con gli striscioni dei nostri Clubs. Rivendichiamo il diritto di esporli all’interno degli stadi e riteniamo ingiusta la “richiesta di autorizzazione all’esposizione”, atteso che quella della libertà di espressione è un diritto costituzionalmente garantito. La Federazione dei Clubs Blucerchiati, nata nel 1966, è stata la prima Associazione di tifosi organizzati nata in Italia ed ha sempre avuto nel suo Dna la sana passione sportiva e l’orgoglio di portare, negli stadi italiani ed esteri, gli striscioni sampdoriani".
da tuttomercatoweb.com
19 novembre 2008
ROMA-LAZIO: CONVALIDATI ARRESTI A NOVE ULTRAS
Sono stati convalidati gli arresti rimessi in libertà i nove tifosi
laziali arrestati ieri sera in occasione degli incidenti avvenuti tra
teppisti e forze dell'ordine prima del derby Roma-Lazio. Si tratta di
CV, AO, CR, GM, MG, GC, GM, SF e VS. Comparsi oggi per direttissima
davanti al giudice monocratico per reati che, a seconda delle posizioni,
vanno dalla resistenza a pubblico ufficiale al lancio di oggetti, fino
alle lesioni, in cinque si sono avvalsi della facoltà di non rispondere,
mentre altri quattro hanno respinto le accuse, sostenendo di essere
stati fermati per sbaglio. I nove arrestati saranno processati in
distinti procedimenti, il primo dei quali è fissato per il 21 gennaio
prossimo.
Fonte: www.repubblica.it
Fonte: www.repubblica.it
18 novembre 2008
UDINESE: I TIFOSI RINGRAZIANO IL QUESTORE CON STRISCIONE
repubblica.it
Un 'grazie' dalla curva al questore di Udine: i tifosi dell'Udinese hanno srotolato un mega striscione prima della partita con la reggina per ringraziare il questore Giuseppe Padulano per aver creato un buon rapporto fra tifosi e polizia. "Grazie Padulano", hanno scritto gli ultras bianconeri che con le forze dell'ordine hanno sempre avuto un ottimo e corretto rapporto. "Un rapporto - ha commentato Padulano - cominciato anni fa e incentrato sul dialogo e sulla fermezza che ha dato e sta dando i risultati sperati". A Udine le barriere davanti alle curve sono state tolte due anni fa e tra forze dell'ordine e tifosi i rapporti sono sempre stati molto buoni.
Un 'grazie' dalla curva al questore di Udine: i tifosi dell'Udinese hanno srotolato un mega striscione prima della partita con la reggina per ringraziare il questore Giuseppe Padulano per aver creato un buon rapporto fra tifosi e polizia. "Grazie Padulano", hanno scritto gli ultras bianconeri che con le forze dell'ordine hanno sempre avuto un ottimo e corretto rapporto. "Un rapporto - ha commentato Padulano - cominciato anni fa e incentrato sul dialogo e sulla fermezza che ha dato e sta dando i risultati sperati". A Udine le barriere davanti alle curve sono state tolte due anni fa e tra forze dell'ordine e tifosi i rapporti sono sempre stati molto buoni.
Derby, 9 arresti e 15 contusi Tensione tifosi-forze dell'ordine
Corriere .it
I supporter di Roma e Lazio fronteggiano la polizia. Lancio di lacrimogeni per disperdere 200 persone
Momenti di tensione tra tifosi e polizia fuori dallo Stadio Olimpico di Roma, poco prima del derby tra Roma e Lazio. Nessun ferito o scontro, ma la polizia - spiega la questura - «ha fronteggiato» fuori dallo stadio un gruppo di circa duecento tifosi di entrambe le squadre. Gli agenti per riportare la calma e disperdere i tifosi hanno anche lanciato dei lacrimogeni contro il gruppo di supporter in via Boselli. Sono nove i tifosi arrestati dagli agenti della polizia di Stato, tutti tifosi della Lazio. Tra loro anche un cittadino tedesco. Quindici i contusi tra le forze dell'ordine per il lancio di oggetti da parte dei tifosi. Impressionante l'elenco degli oggetti sequestrati in occasione degli scontri: 9 bastoni di legno, 4 tubi Innocenti, 3 catene con lucchetto, una accetta, 2 scalpelli in ferro, 2 cacciavite, un petardo e 4 torce di illuminazione.
SILENZIO PER «GABBO» - Cinque minuti di silenzio per ricordare Gabriele. Con uno striscione con questo slogan, apparso in curva sud al fischio d'inizio del derby, i tifosi giallorossi hanno voluto ricordare Gabriele Sandri, «Gabbo», il tifoso della Lazio morto per un colpo sparato da un agente di polizia alla stazione di servizio Badia Alpino. In silenzio la curva sud e la curva nord unite nel ricordo del ragazzo hanno seguito i primi cinque minuti del derby. Poi, dalla tribuna Tevere è partito un coro («giustizia per Gabriele»), ripreso dagli altri settori prima che cominciassero i cori del tifo.
I supporter di Roma e Lazio fronteggiano la polizia. Lancio di lacrimogeni per disperdere 200 persone
Momenti di tensione tra tifosi e polizia fuori dallo Stadio Olimpico di Roma, poco prima del derby tra Roma e Lazio. Nessun ferito o scontro, ma la polizia - spiega la questura - «ha fronteggiato» fuori dallo stadio un gruppo di circa duecento tifosi di entrambe le squadre. Gli agenti per riportare la calma e disperdere i tifosi hanno anche lanciato dei lacrimogeni contro il gruppo di supporter in via Boselli. Sono nove i tifosi arrestati dagli agenti della polizia di Stato, tutti tifosi della Lazio. Tra loro anche un cittadino tedesco. Quindici i contusi tra le forze dell'ordine per il lancio di oggetti da parte dei tifosi. Impressionante l'elenco degli oggetti sequestrati in occasione degli scontri: 9 bastoni di legno, 4 tubi Innocenti, 3 catene con lucchetto, una accetta, 2 scalpelli in ferro, 2 cacciavite, un petardo e 4 torce di illuminazione.
SILENZIO PER «GABBO» - Cinque minuti di silenzio per ricordare Gabriele. Con uno striscione con questo slogan, apparso in curva sud al fischio d'inizio del derby, i tifosi giallorossi hanno voluto ricordare Gabriele Sandri, «Gabbo», il tifoso della Lazio morto per un colpo sparato da un agente di polizia alla stazione di servizio Badia Alpino. In silenzio la curva sud e la curva nord unite nel ricordo del ragazzo hanno seguito i primi cinque minuti del derby. Poi, dalla tribuna Tevere è partito un coro («giustizia per Gabriele»), ripreso dagli altri settori prima che cominciassero i cori del tifo.
16 novembre 2008
Roma-Chelsea: un arresto e quattro feriti
fonte : Tuttomercatoweb
Un tifoso italiano è stato arrestato con l'accusa di rissa e lesioni, un minorenne è stato denunciato e ci sono stati quattro feriti, un poliziotto del reparto mobile di Roma e tre tifosi del Chelsea. Si è conclusa così una rissa verificatasi tra tifosi inglesi ed italiani poco prima del calcio dell'inizio della partita allo stadio Olimpico.
La rissa, che ha coinvolto diversi tifosi inglesi e della Roma, è nata proprio all'ingresso della curva sud dell'Olimpico. Immediato l'intervento delle forze dell'ordine che ha impedito che il degenerare della situazione
Un tifoso italiano è stato arrestato con l'accusa di rissa e lesioni, un minorenne è stato denunciato e ci sono stati quattro feriti, un poliziotto del reparto mobile di Roma e tre tifosi del Chelsea. Si è conclusa così una rissa verificatasi tra tifosi inglesi ed italiani poco prima del calcio dell'inizio della partita allo stadio Olimpico.
La rissa, che ha coinvolto diversi tifosi inglesi e della Roma, è nata proprio all'ingresso della curva sud dell'Olimpico. Immediato l'intervento delle forze dell'ordine che ha impedito che il degenerare della situazione
14 novembre 2008
Curva Sud:"Non devono esserci altre sorprese negative"
Alcuni gruppi della Curva Sud, Boys, Giovinezza, Irish Clan, Padroni di
Casa e UltrasRoma, hanno firmato un comunicato spiegando e anticipando
il loro atteggiamento nei confronti della squadra in occasione del derby
di domenica prossima: «Domenica sosterremo la nostra maglia e solo per
il derby dimenticheremo quanto valete». Il derby, per i tifosi, vale
davvero tutta la stagione, oggi più che mai: «Eccoci arrivati
all'appuntamento più importante, a nostro giudizio, di questa stagione
palesemente deludente. La classifica parla chiaro. Per noi il sostegno
dimostratovi dopo la partita Siena-Roma con un comunicato, è venuto meno
dopo l'ennesima sconfitta collezionata ad Udine. La vittoria con il
Chelsea, inaspettata quandto meritata ed ampiamente apprezzata, sembra
non sia stata la fine di una crisi che va avanti da troppe giornate; a
noi sinceramente non basta, non ci accontentiamo di una vittoria da
"vetrina"». L’attacco si rivolge a tutti, dai dirigenti ai giocatori:
«Carissimi società, tecnico e squadra...noi continuiamo a non pensare
bene di voi, personaggi poco attaccati alla maglia e con poco rispetto
di chi per voi spende del sentimento vero...Abbiamo il timore che questo
sia un campionato pieno di sorprese negative...fate in modo che ciò non
accada».
Fonte: romanews.eu
Fonte: romanews.eu
10 novembre 2008
Skrondo sempre con noi
Gli 'Ingrifati' riportano Andrea a Perugia
Raccolti oltre 9mila euro per il rimpatrio
Andrea era per tutti lo 'Skrondo'. Era uno dei leader della curva Nord e del gruppo degli Ingrifati. E’ morto all’improvviso il 28 ottobre, mentre era in vacanza in Sudamerica. Probabilmente lo ha ucciso un infarto. Andrea non aveva più i genitori, "la mia famiglia - diceva - è il mio gruppo di amici in curva". E proprio i suoi amici lo riporteranno qui. Gli Ingrifati hanno organizzato una sottoscrizione per coprire le ingenti spese per il trasporto della salma e per il funerale
Perugia, 7 novembre 2008 - La salma di Andrea potrebbe partire già stasera dal Brasile. Oppure bisognerà aspettare lunedì. Ma Andrea Vinti, 35 anni, tornerà comunque a casa, il suo corpo non finirà in una fossa comune in qualche camposanto basiliano. Il funerale sarà invece celebrato dentro il ‘Renato Curi’, la data dipende dal giorno del rientro.
Andrea era per tutti lo 'Skrondo'. Era uno dei leader della curva Nord e del gruppo degli Ingrifati. E’ morto all’improvviso il 28 ottobre, mentre era in vacanza in Sudamerica. Probabilmente lo ha ucciso un infarto. Andrea non aveva più i genitori, "la mia famiglia - diceva - è il mio gruppo di amici in curva". E proprio i suoi amici lo riporteranno qui. Gli Ingrifati hanno organizzato una sottoscrizione per coprire le ingenti spese per il trasporto della salma e per il funerale.
Hanno ricevuto donazioni da migliaia di tifosi, di tutta Italia. Hanno messo insieme i 9.012 euro necessari e, attraverso la Western Union, hanno effettuato il bonifico a nome di Giovanni Pisanu, console italiano in Brasile. Mancano solo le ultime pratiche burocratiche, questione di ore. Poi lo 'Skrondo' potrà partire per il suo ultimo viaggio.
E’ una struggente storia di solidarietà, quella che c’è dietro la tragedia di questo ragazzo. I soldi raccolti sono stati addirittura più della cifra necessaria. "Con quello che avanza - promettono gli Ingrifati - organizzeremo qualcosa in memoria di Andrea. Grazie a tutti, anche ai ragazzi delle altre curve che hanno risposto al nostro appello". Allo 'Skrondo' volevano tutti bene, per davvero. Leader in Nord, ma nel suo modo di intendere il gruppo non c’era solo il tifo o la partita della domenica. Andrea Vinti era uno degli animatori del 'Memorial Cavalletto', torneo di calcio con le tifoserie gemellate organizzato dagli Ingrifati per ricordare Roberto Cavalletti, il tifoso morto in un incidente stradale sulla E45 mentre tornava a casa dopo un Perugia-Juventus di Coppa Italia.
Nel 'memorial', Andrea aveva il compito di cuoco. Strepitose, raccontano gli amici, le grigliate di bistecche e salsicce. Lo 'Skrondo' era anche uno dei leader dei raduni antirazzisti ai quali gli ultrà perugini partecipano sistematicamente. In curva lo chiamavano anche 'Zione', per via di quelle mani grosse come badili. Lo conoscevano in tanti, anche fuori dall’Umbria. E in tanti hanno versato anche solo un euro per riportare la salma di Andrea a Perugia. Tra questi gli ultras della Juve Stabia, gli ultimi ad avere a che fare con lo 'Skrondo': nella recente partita del Curi, uno degli autobus dei supporters stabiesi finì in panne proprio vicino allo stadio.
Andrea e altri tre ragazzi degli Ingrifati, bravi meccanici, non ebbero dubbi: uscirono dalla curva Nord, rinunciando ad assistere alla partita, e si misero al lavoro per riparare l’autobus dei ‘colleghi’. Missione compiuta: a fine gara, il pullman era tornato in funzione, con i ragazzi di Castellammare che poterono tornare tranquillamente a casa. Nessuno, nella città campana, ha dimenticato il gesto di solidarietà e di amicizia di 'fratello Skrondo'. Perché lui, dicono tutti, "era così. Un generoso, sempre in prima linea per aiutare gli altri e difendere i più deboli". E allora torna presto, Andrea. Ti meriti un grande abbraccio nel ‘tuo’ Curi. Dove risuonerà la frase rituale di mille trasferte: gimo freghi, che lo Skrondo è già davanti.
Fonte: "La Nazione"
Raccolti oltre 9mila euro per il rimpatrio
Andrea era per tutti lo 'Skrondo'. Era uno dei leader della curva Nord e del gruppo degli Ingrifati. E’ morto all’improvviso il 28 ottobre, mentre era in vacanza in Sudamerica. Probabilmente lo ha ucciso un infarto. Andrea non aveva più i genitori, "la mia famiglia - diceva - è il mio gruppo di amici in curva". E proprio i suoi amici lo riporteranno qui. Gli Ingrifati hanno organizzato una sottoscrizione per coprire le ingenti spese per il trasporto della salma e per il funerale
Perugia, 7 novembre 2008 - La salma di Andrea potrebbe partire già stasera dal Brasile. Oppure bisognerà aspettare lunedì. Ma Andrea Vinti, 35 anni, tornerà comunque a casa, il suo corpo non finirà in una fossa comune in qualche camposanto basiliano. Il funerale sarà invece celebrato dentro il ‘Renato Curi’, la data dipende dal giorno del rientro.
Andrea era per tutti lo 'Skrondo'. Era uno dei leader della curva Nord e del gruppo degli Ingrifati. E’ morto all’improvviso il 28 ottobre, mentre era in vacanza in Sudamerica. Probabilmente lo ha ucciso un infarto. Andrea non aveva più i genitori, "la mia famiglia - diceva - è il mio gruppo di amici in curva". E proprio i suoi amici lo riporteranno qui. Gli Ingrifati hanno organizzato una sottoscrizione per coprire le ingenti spese per il trasporto della salma e per il funerale.
Hanno ricevuto donazioni da migliaia di tifosi, di tutta Italia. Hanno messo insieme i 9.012 euro necessari e, attraverso la Western Union, hanno effettuato il bonifico a nome di Giovanni Pisanu, console italiano in Brasile. Mancano solo le ultime pratiche burocratiche, questione di ore. Poi lo 'Skrondo' potrà partire per il suo ultimo viaggio.
E’ una struggente storia di solidarietà, quella che c’è dietro la tragedia di questo ragazzo. I soldi raccolti sono stati addirittura più della cifra necessaria. "Con quello che avanza - promettono gli Ingrifati - organizzeremo qualcosa in memoria di Andrea. Grazie a tutti, anche ai ragazzi delle altre curve che hanno risposto al nostro appello". Allo 'Skrondo' volevano tutti bene, per davvero. Leader in Nord, ma nel suo modo di intendere il gruppo non c’era solo il tifo o la partita della domenica. Andrea Vinti era uno degli animatori del 'Memorial Cavalletto', torneo di calcio con le tifoserie gemellate organizzato dagli Ingrifati per ricordare Roberto Cavalletti, il tifoso morto in un incidente stradale sulla E45 mentre tornava a casa dopo un Perugia-Juventus di Coppa Italia.
Nel 'memorial', Andrea aveva il compito di cuoco. Strepitose, raccontano gli amici, le grigliate di bistecche e salsicce. Lo 'Skrondo' era anche uno dei leader dei raduni antirazzisti ai quali gli ultrà perugini partecipano sistematicamente. In curva lo chiamavano anche 'Zione', per via di quelle mani grosse come badili. Lo conoscevano in tanti, anche fuori dall’Umbria. E in tanti hanno versato anche solo un euro per riportare la salma di Andrea a Perugia. Tra questi gli ultras della Juve Stabia, gli ultimi ad avere a che fare con lo 'Skrondo': nella recente partita del Curi, uno degli autobus dei supporters stabiesi finì in panne proprio vicino allo stadio.
Andrea e altri tre ragazzi degli Ingrifati, bravi meccanici, non ebbero dubbi: uscirono dalla curva Nord, rinunciando ad assistere alla partita, e si misero al lavoro per riparare l’autobus dei ‘colleghi’. Missione compiuta: a fine gara, il pullman era tornato in funzione, con i ragazzi di Castellammare che poterono tornare tranquillamente a casa. Nessuno, nella città campana, ha dimenticato il gesto di solidarietà e di amicizia di 'fratello Skrondo'. Perché lui, dicono tutti, "era così. Un generoso, sempre in prima linea per aiutare gli altri e difendere i più deboli". E allora torna presto, Andrea. Ti meriti un grande abbraccio nel ‘tuo’ Curi. Dove risuonerà la frase rituale di mille trasferte: gimo freghi, che lo Skrondo è già davanti.
Fonte: "La Nazione"
7 novembre 2008
Tessera del tifoso o schedatura preventiva?
Milan-Napoli, ha avuto “solo” 55.000 spettatori, di cui paganti 11.257
paganti. Il motivo? Erano privilegiati i possessori della tessera Cuore
Rossonero, tagliati fuori (ancora) i napoletani. Secondo Galliani, il
Milan ha avuto un danno da un
milione di euro.
Altro problema. La difficoltà nel reperire i biglietti. Un solo tagliando a testa (famiglie quindi tagliate fuori), limitazione ai soli residenti in provincia, niente stranieri (a Roma, mentre a Milano hanno via libera). Una battuta di un tifoso del Milan: “Per Milan-Napoli in quanto abbonato, e possessore della tessera del tifoso Cuore Rossonero, avevo il diritto di comprare un biglietto in più ma solo per i residenti in provincia di Milano. Quindi, avrei potuto acquistarlo per Pietro Maso ma non per mia madre…”.
fonte la Repubblica
milione di euro.
Altro problema. La difficoltà nel reperire i biglietti. Un solo tagliando a testa (famiglie quindi tagliate fuori), limitazione ai soli residenti in provincia, niente stranieri (a Roma, mentre a Milano hanno via libera). Una battuta di un tifoso del Milan: “Per Milan-Napoli in quanto abbonato, e possessore della tessera del tifoso Cuore Rossonero, avevo il diritto di comprare un biglietto in più ma solo per i residenti in provincia di Milano. Quindi, avrei potuto acquistarlo per Pietro Maso ma non per mia madre…”.
fonte la Repubblica
6 novembre 2008
“la voce della Nord” di Lazio-catania
“Certo che ancora vai appresso al pallone invece di pensare alle cose serie”.
Le cose serie? E quali sarebbero?
Il lavoro forse? Dove gente deforme e sostanzialmente analfabeta è spesso preposta a dirti quello che devi fare?
Oppure la politica? Dove chi decide le regole della tua vita è il più delle volte incapace di esprimere un concetto di senso compiuto e senza nemmeno i rudimenti di cultura generale?
La famiglia allora? Fatta di quella finta cordialità natalizia, di coppie che si separano dopo nemmeno un anno di matrimonio e di figli messi in mezzo per un assegno di mantenimento più cospicuo.
Oppure la religione? Che t’insegna a comportarti bene non perché sia giusto così ma per la ricompensa che ti aspetta dopo la morte o per quanto puoi ottenere egoisticamente con la preghiera.
E l’economia? Che a tutto dà un prezzo e a niente dà valore.
O le buone conoscenze? Quei sorrisi finti e quelle strette di mano false. Quelle facce di plastica pronte a prometterti tutto e sicure che non ti daranno mai nulla. Nemmeno un sorriso sincero. Sono queste le cose serie, allora? Quelle che trascuro per riconoscere il carisma di una persona dal suo esempio? Quelle che trascuro per piangere abbracciato al primo che capita dopo un gol in trasferta? Quelle che trascuro per emozionarmi per una partita di pallone più di quando trent’anni fa entrai per la prima volta in uno stadio? Mi piace leggere un buon libro e so riconoscere un’opera d’arte, così come tutto quello che la vita propone. Però vado ancora appresso al pallone. Si è così. La mia vita è fatta di emozioni così semplici ma che non sarei in grado di spiegare a te che invece stai attento alle cose serie. Passione. Altruismo. Lealtà. Coraggio. Con queste quattro parole in tasca giro il mondo appresso al pallone….appresso alla mia squadra del cuore. E non importa se mi capita di trascurare le cose serie. Ho le spalle larghe ormai e l’abbraccio di un amico di cui non conosco il nome basta a farmi stare tanto bene. Siamo strani noi tifosi…ma siamo gente su cui puoi contare.
Le cose serie? E quali sarebbero?
Il lavoro forse? Dove gente deforme e sostanzialmente analfabeta è spesso preposta a dirti quello che devi fare?
Oppure la politica? Dove chi decide le regole della tua vita è il più delle volte incapace di esprimere un concetto di senso compiuto e senza nemmeno i rudimenti di cultura generale?
La famiglia allora? Fatta di quella finta cordialità natalizia, di coppie che si separano dopo nemmeno un anno di matrimonio e di figli messi in mezzo per un assegno di mantenimento più cospicuo.
Oppure la religione? Che t’insegna a comportarti bene non perché sia giusto così ma per la ricompensa che ti aspetta dopo la morte o per quanto puoi ottenere egoisticamente con la preghiera.
E l’economia? Che a tutto dà un prezzo e a niente dà valore.
O le buone conoscenze? Quei sorrisi finti e quelle strette di mano false. Quelle facce di plastica pronte a prometterti tutto e sicure che non ti daranno mai nulla. Nemmeno un sorriso sincero. Sono queste le cose serie, allora? Quelle che trascuro per riconoscere il carisma di una persona dal suo esempio? Quelle che trascuro per piangere abbracciato al primo che capita dopo un gol in trasferta? Quelle che trascuro per emozionarmi per una partita di pallone più di quando trent’anni fa entrai per la prima volta in uno stadio? Mi piace leggere un buon libro e so riconoscere un’opera d’arte, così come tutto quello che la vita propone. Però vado ancora appresso al pallone. Si è così. La mia vita è fatta di emozioni così semplici ma che non sarei in grado di spiegare a te che invece stai attento alle cose serie. Passione. Altruismo. Lealtà. Coraggio. Con queste quattro parole in tasca giro il mondo appresso al pallone….appresso alla mia squadra del cuore. E non importa se mi capita di trascurare le cose serie. Ho le spalle larghe ormai e l’abbraccio di un amico di cui non conosco il nome basta a farmi stare tanto bene. Siamo strani noi tifosi…ma siamo gente su cui puoi contare.
Ufficiale: Padova - Cremonese vietata ai tifosi!
fonte: vascellocr.it
La notizia era nell'aria, ora è ufficiale. L'osservatorio antiviolenza ha deciso che Padova-Cremonese del 16 novembre si giocherà senza tifosi ospiti. Sarà possibile assistere al match solo per i tifosi di Padova e dintorni. Alla base della decisione sono risultate determinanti le valutazioni sull'aggressione perpetrata da alcuni tifosi grigiorossi in centro città ai danni di un ragazzo piacentino che portava un giubbotto con il logo del Piacenza calcio (fatto successo il 26 ottobre). Probabilmente ha pesato anche il ricordo dell'aggressione attuata dai tifosi padovani ai danni di un tifoso cremonese in un autogrill in occasione della sfida della scorsa stagione.
Quello che conta è che per la prima volta nella storia i tifosi grigiorossi non potranno seguire dal vivo la propria squadra. Un fatto mai successo in 105 anni e passa di vita del sodalizio di via Persico.
Ed è il caso di fare una considerazione. D'accordo le esigenze di sicurezza, d'accordo la volontà di fare qualcosa per arginare la violenza. Ma il calcio è fatto per la gente, per essere visto e goduto, per essere uno spettacolo a portata di tutti. Se la partita non può essere vista, che senso ha giocarla? La strada delle interdizioni non può essere la strada giusta (oltretutto è una resa dello Stato che si dichiara in pratica incapace di gestire un evento in quanto pericoloso).
La notizia era nell'aria, ora è ufficiale. L'osservatorio antiviolenza ha deciso che Padova-Cremonese del 16 novembre si giocherà senza tifosi ospiti. Sarà possibile assistere al match solo per i tifosi di Padova e dintorni. Alla base della decisione sono risultate determinanti le valutazioni sull'aggressione perpetrata da alcuni tifosi grigiorossi in centro città ai danni di un ragazzo piacentino che portava un giubbotto con il logo del Piacenza calcio (fatto successo il 26 ottobre). Probabilmente ha pesato anche il ricordo dell'aggressione attuata dai tifosi padovani ai danni di un tifoso cremonese in un autogrill in occasione della sfida della scorsa stagione.
Quello che conta è che per la prima volta nella storia i tifosi grigiorossi non potranno seguire dal vivo la propria squadra. Un fatto mai successo in 105 anni e passa di vita del sodalizio di via Persico.
Ed è il caso di fare una considerazione. D'accordo le esigenze di sicurezza, d'accordo la volontà di fare qualcosa per arginare la violenza. Ma il calcio è fatto per la gente, per essere visto e goduto, per essere uno spettacolo a portata di tutti. Se la partita non può essere vista, che senso ha giocarla? La strada delle interdizioni non può essere la strada giusta (oltretutto è una resa dello Stato che si dichiara in pratica incapace di gestire un evento in quanto pericoloso).
4 novembre 2008
Calcio, tifosi senza tessere
Arriva la tessera del tifoso. Ma il tifoso
non appartiene a una categoria certificabile con un documento. Cambiare
il calcio senza capire lo spirito che anima chi riempie gli stadi appare
impresa titanica. Chi occupa le stanze dei bottoni dovrebbe decidersi a
chiarire, a se stesso, questo concetto.
Arrivata
al nastro di partenza la “tessera del tifoso”. E’ stata infatti
ufficialmente presentata “Cuore Rossonero”, ovvero quella lanciata dal
Milan di Galliani. Paradigma metropolitano della tipologia di un
documento che dovrebbe, secondo la fervida immaginazione
dell’Osservatorio, diventare forse obbligatorio per quanti hanno ancora
voglia di andarsi a vedere il calcio dal vivo. Si tratta di un documento
magnetico che consente, tramite un chip, l’identificazione del
possessore. Un aggeggio che potrebbe diventare indispensabile per
entrare in quelle inutili cattedrali del deserto nelle quali sono state
trasformate gli stadi italiani.
Viene da chiedersi se certe persone sappiano davvero cosa significhi essere tifosi. Tanto più quelle
che avrebbero l’onere (l’onore) di stabilire le linee guida del “nuovo
calcio” che si vuole imporre dalle loro algide stanze dei bottoni
scollegate dalla realtà quotidiana. E che dovrebbero, in primo luogo,
avere contezza della tipologia di utilizzatori del prodotto che
intendono così pervicacemente trasformare in qualcosa di amorfo che ne
snatura i connotati.
“Si
è tifosi della propria squadra perché si è tifosi della propria vita,
di se stessi, di quello che si è stati, di quello che si spera di
continuare a essere. E’ un segno, un segno che ognuno riceve una volta
per sempre, una sorta di investitura che ti accompagna per tutta la
vita, un simbolo forte che si radica dentro di te, insieme con la tua
innocenza, tra fantasia, sogno e gioco”, ha osservato con grande acume
il poeta Giovanni Raboni.
”Mi
innamorai del calcio come mi sarei poi innamorato delle donne:
improvvisamente, inesplicabilmente, acriticamente. Senza pensare al
dolore o allo sconvolgimento che avrebbe portato con sè” dichiara senza
mezzi termini Nick Hornby, scrittore inglese autore del libro cult Febbre a 90.
C’è un aforisma di Blaise Pascal, “il cuore ha le sue ragioni, ma la ragione non riesce a capirle”, che riassume
con efficace sintesi gli imperscrutabili motivi che spingono il tifoso
ad amare ciò che ad altri non parrebbe meritevole di esserlo. A legare
il proprio destino, indissolubilmente, con quello della propria squadra
del cuore.
“Nessuna
industria della televisione sembra che gli interessi dei tifosi, ma
senza l’urlo ed il movimento del pubblico il calcio sarebbe uno zero. E’
una storia di passione. Sarà sempre così. Senza la passione il football
è morto. Solo ventidue uomini grandi e grossi che corrono su un prato e
danno calci a una palla. Proprio una gran cagata. E’ la tifoseria che
lo fa diventare una cosa importante”, sostiene John King, icona del mondo ultras, nel suo Fedeli alla tribù.
Per
queste e per molte altre ragioni non può (non potrà) mai essere la
banale tessera che Galliani, con la sua faccia rassicurante, cerca di
promuovere a definire se un sostenitore milanista può essere definito
“Cuore Rossonero”. Una vera mistificazione, a dirla tutta.
Perché
essere tifoso vuol dire appartenere a una categoria dell’anima,
difficile da incasellare. E, dunque, dirigere una squadra di calcio
significa avere la consapevolezza di mettersi a capo di un’azienda
speciale che nulla ha da spartire con altre attività imprenditoriali.
Sergio Mutolo – www.calciopress.net
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