La città ci sta massacrando». Detta da un ultrà di lungo corso come il Baffo, uno che nella curva Nord dell’Atalanta ci milita da più di quarant’anni, la frase rende bene l’idea di quanto i fatti di una settimana fa abbiano deteriorato i rapporti fra la «Bergamo per bene», quella delle istituzioni, dei tifosi tranquilli e della società di calcio, e i suoi ultras.
È il giorno della maxisanzione che punisce i supporter della Nord con oltre quattro mesi di chiusura della loro curva, fino al 31 marzo, una mazzata pesantissima per chi vive di pane e Atalanta. Ma non è solo questo il punto: è come se la crepa, aperta a colpi di tombino nel plexiglas dagli ultras inferociti, si fosse allargata fino a formare un fossato di risentimento fra la città e lo zoccolo più duro del tifo. Una frattura insanabile, i cui segni si potevano vedere e sentire già la domenica della morte di Gabriele Sandri: «Quel giorno ci siamo sentiti dare dei figli di puttana da 25 mila persone, mi sono arrivati gli sputi della gente», racconta Francesco Palafreni detto Baffo, 53 anni, di professione artigiano, sposato con un figlio, che mentre la recinzione veniva giù parlava animatamente con i giocatori, chiedendo che tornassero negli spogliatoi.
Nella stessa curva non tutti hanno gradito, c’era molta confusione, ma loro, gli ultrà, dicono di non aver niente da rimproverarsi: «Anche se a Bergamo sono considerato peggio di quello che ha sparato, anche se oggi, dopo 40 anni di curva, mi verrebbe da mollare tutto, rifarei tutto quello che ho fatto. Qualcuno potrà avere esagerato, ci possono essere stati eccessi, ma di qui a criminalizzarci tutti ce ne corre. E ora siamo del tutto isolati dalla città».
La sindrome dell’accerchiamento corre ora attraverso un gruppo ultrà – la Curva Nord Atalanta 1907 che da tempo ha preso il posto delle vecchie Brigate neroazzurre – conosciuto per essere fra i più coriacei e temuti d’Italia anche se, secondo il codice ultras, gode fama di una certa correttezza, perché negli scontri non ricorre alle lame. A sentir loro, la settimana scorsa la Nord è stata attaccata con durezza inusitata soprattutto dai media locali, dalla società e, naturalmente, dall’autorità che ha disposto gli arresti per otto tifosi. L’ultima bastonata ieri, con la squalifica della curva: «No che non me l’aspettavo, pensavo che avrebbero sospeso per 3-4 giornate, invece hanno chiuso la curva per quattro mesi per un vetro rotto. A me sembrano più gravi i cori razzisti». Ma giornali e tv insistono, e danno sfogo alla rabbia degli altri tifosi atalantini, che non ci stanno a essere ostaggi degli ultras: «Anni addietro abbiamo passato momenti critici, ma mai come stavolta: sono stato insultato in televisione, sono arrivati cento messaggi in cui mi attaccano pesantemente, e adesso sto verificando se ci sono estremi per andare per vie legali».
Con la società i rapporti sono in frantumi: il comunicato di condanna della curva del presidente Ruggeri, firmato da tutti i giocatori, viene inteso come un gesto opportunistico, per limitare i danni. Con la squadra invece c’è «un ottimo rapporto: hanno subìto il comunicato, ma poi sono usciti con un secondo in cui, pur condannando la violenza, invitavano a non criminalizzare la curva». Da allora però con i giocatori nessun contatto, «Bergamo è piccola, non è mica come Roma dove le cose si possono fare senza che si sappia», mentre l’esclusione di Zampagna dalla rosa viene interpretata dagli ultras «forse come la risposta a un’eccessiva vicinanza del giocatore alla curva». E adesso cosa faranno gli ultrà? «È troppo presto per dare una risposta, ma dimostreremo con i fatti che si sbagliavano sul nostro conto. Ricevo messaggi di tanti ragazzi che non vogliono mollare», conclude Palafreni. E da un altro esponente di spicco della curva arriva la stessa reazione incredula: «Non ci aspettavamo niente del genere, non la Nord chiusa per quattro mesi. Se paghi così per un vetro rotto, a San Siro cosa dovevano fare col motorino buttato giù dalla curva, chiudere lo stadio per tre anni? Qui anche gli altri devono prendersi le loro responsabilità: si sono usati due pesi e due misure per Raciti e per il ragazzo della Lazio, se questa è giustizia... Ci assumiamo le nostre colpe per il plexiglas, ma quella partita non andava giocata».
Il capo ultrà della Nord aggiunge un dettaglio al capitolo della distanza fra curva e città: «A Bergamo hanno persino chiuso il nostro bar, perché dicevano che era frequentato da diffidati». Per le prossime partite in casa, ancora nessuna decisione, gli ultras atalantini aspettano di incontrarsi: «Dobbiamo prima parlare fra noi, dico solo che le nostre riunioni continuano, noi viviamo per l’Atalanta. Subiamo ma andiamo avanti, anche se questa è una bella mazzata».
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